la Repubblica, 14 dicembre 2019
Haftar sta per entrare a Tripoli
La guerra di Libia è a un punto di svolta. Tutto gira attorno a un evento possibile (l’entrata di Haftar a Tripoli) che se si verificasse farebbe esplodere lo scontro in una dimensione insostenibile per l’Europa. Il livello sarebbe quello di una guerra regionale molto più intensa e pericolosa rispetto a oggi. Uno scontro fra Russia/Egitto e Turchia/Qatar, schierati sui due fronti contrapposti. Per Europa e Italia un incubo totale.
Il proclama di Haftar
Nella notte di giovedì il generale in pensione Khalifa Haftar, l’uomo che dal 4 aprile ha ordinato l’assalto a Tripoli, ha chiesto ai suoi uomini di dare la spallata finale. Per ora il nuovo attacco non c’è stato. Ancora nessun raid aereo serio degli haftariani, se non ieri sera due bombe sull’aeroporto di Misurata. A Tripoli un tentativo di assalto via terra potrebbe arrivare nelle prossime ore, anche se molti diplomatici e militari occidentali hanno dubbi sulla reale forza del generale. Non è chiaro quindi se i suoi miliziani, spinti dai mercenari russi di Wagner, riusciranno a sfondare, o riusciranno anche soltanto a fare incursioni all’interno della città. Con lo scopo non tanto di conquistare Tripoli, ma di destabilizzarla, di provocare un collasso del governo di Fayez Al Serraj.
“È arrivata l’ora zero”
Nell’appello in tv, Haftar aveva detto «è arrivata l’ora zero, entriamo a Tripoli per liberarla da terroristi e traditori». Dal Qatar, dove è volato per il “Doha Forum”, ieri gli ha risposto il presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez Al Serraj: «Non c’è nessuna ora «ero: ci sono solo «ero illusioni, quelle che lui si fa di entrare in città! Ci difenderemo e lo respingeremo lontano».
Il ponte aereo dalla Turchia
C’è un’altra verità ormai sotto gli occhi di tutti che rende la situazione pericolosissima. Il 27 novembre il governo Al Serraj ha firmato un accordo strategico con la Turchia, per condividere i diritti di esplorazione petrolifera sulla piattaforma continentale marittima con Ankara. Provocando la risposta infuriata di Grecia e Ue. L’altra faccia dell’accordo è un “Patto di Difesa” per cui il presidente turco Erdogan ha potuto dire pubblicamente «abbiamo 5.000 soldati pronti, se Tripoli ci chiede aiuto possiamo schierarli immediatamente». Petrolio in cambio di armi e garanzie di sicurezza. Sarebbero quindi 5.000 soldati turchi per Al Serraj contro i circa 1.000 mercenari russi (e ucraini) di Mosca per Haftar. Erdogan intanto prova a recuperare, fa rifornire di armi Tripoli in emergenza. Da due giorni sono tornati in volo i droni turchi che difendono la città, tanto che Haftar annuncia di averne abbattuto uno proprio ieri. I turchi hanno avviato un ponte aereo, anche con Boeing noleggiati da compagnie moldave, per scaricare armi a Misurata e trasferirle a Tripoli. Ankara schiererà nuovi sistemi per bloccare i droni di fabbricazione cinese forniti ad Haftar dagli Emirati Arabi Uniti. Sistemi di jamming elettronico per far precipitare gli aerei senza pilota degli avversari. Analisti militari si aspettano che Erdogan aggiunga ai jammer anche forniture di missili antiaerei: per bloccare i Mig di Haftar e gli F16 emiratini ed egiziani che hanno fatto decine di attacchi contro l’area di Tripoli.
I contractor di Putin
Sostenendo di avere soldati pronti a intervenire in Libia, Erdogan ha aggiunto anche «ne parlerò con Putin». I due si sono già sentiti al telefono, si vedranno l’8 gennaio. Gli eredi dell’impero ottomano e di quello russo, dopo aver lavorato alla spartizione della Siria, discuteranno la ripartizione della Libia. Senza l’Europa e soprattutto senza gli Stati Uniti. L’esplosione del ruolo della Russia in Libia non è una sorpresa per chi ha seguito da anni le abili mosse di Putin in Nordafrica. Anche i libici non volevano crederci. Tanto che solo fino a poche settimane fa il governo di Al Serraj era incerto sull’atteggiamento pubblico da tenere con Mosca. Khaled Al Mishri, presidente del “Consiglio di Stato” (una sorta di Senato) di Tripoli aveva annunciato «stiamo preparando una lista di 600/800 mercenari russi, stiamo raccogliendo i loro nomi e li porteremo all’attenzione del governo russo». Non è chiaro a cosa servirebbe adesso fornire a Mosca la lista dei suoi contractor.
Anche gli Stati Uniti sembrano essersi fatti sfilare i contractor sotto il naso. David Shenker, assistente segretario di Stato per il Medio Oriente, ha detto che Washington «sta pensando a sanzioni contro le organizzazioni che hanno inviato contractors a combattere a Tripoli, facendo molte vittime fra i civili». La verità è che il Dipartimento di Stato è semi-paralizzato: non sanno cosa fare, perché Putin arma quello stesso capo-milizia, Haftar, che Trump sostiene su richiesta di Al Sisi e degli Emirati. «Mosca sa come utilizzare Haftar, e al momento opportuno saprà anche come sostituirlo con un altro cavallo», dice un funzionario italiano di primo livello. «I nostri amici americani sembrano a rimorchio, pronti a perdere un ruolo guida in Libia come l’hanno perso in Siria». L’America è fuori dalla Libia: ritornano due grandi “imperi”, quello russo e quello ottomano.