la Repubblica, 14 dicembre 2019
Johnson e la promessa di un Regno Unito Globale
A un certo punto, a Downing Street, ieri hanno pensato di spedire Boris Johnson in una città del nord “rosso”, decisivo per il suo trionfo alle elezioni di giovedì, ed essere incensato lì, tra le braccia operaie degli ex laburisti. Poi hanno rinunciato: sarebbe stata un’umiliazione troppo grande e poi il dead man walking Corbyn dovrà comunque passare in Parlamento la prossima settimana. Ma lo smargiasso Johnson non ha resistito e ai manifestanti che urlavano fuori Downing Street durante il suo discorso, gli ha rifilato un «ficcateci un calzino in quel megafono!». Eppure ieri Johnson era più mieloso del solito. In mattinata, per il suo secondo premierato, è andato a farsi investire ufficialmente dalla pia regina Elisabetta, che tre mesi fa ha gabbato facendole bollinare una sospensione illegale del Parlamento. Poi è tornato a Downing Street, dove lo attendevano tutti gli artefici del suo successo: Dominic Cummings, il genio della propaganda sua e dei brexiter nel referendum 2016, il suo vice Isaac Levido, osannato con cori sulle note dei White Stripes, e il portavoce Rob Oxley, uno che tra fiumi di lacrime non andò al funerale della nonna in Sudafrica nel 2016 perché c’era una missione vitale da vincere: la Brexit.
Boris ha promesso di «riunire il Paese, di ricucire le ferite», «di rispettare e tenere in considerazione gli europeisti», di «tessere nuovi stretti rapporti con gli amici europei», «la fine dell’austerità», più investimenti in sanità e sicurezza. Insomma, «ripagheremo la vostra fiducia». E poi «basta parlare di Brexit». Infine ha chiamato il premier irlandese Varadkar e la cancelliera tedesca Merkel, i leader più influenti nella svolta del suo accordo Brexit lo scorso ottobre. Sarà credibile ed efficace Johnson, come primo ministro, senza l’ossessione dell’uscita dall’Ue e senza la funzionale opposizione di Jeremy Corbyn? La sua conquista del “muro rosso” nel Nord sarà duratura? E, a Brexit risolta, Johnson tornerà su posizioni più moderate o si proteggerà nel profondo solco degli euroscettici radicali? Lo vedremo. Di sicuro, più che il suo idolo Winston Churchill, ieri Johnson ha ricordato un altro primo ministro conservatore del passato, Benjamin Disraeli. Playboy impenitente e opportunista come Boris, anche Disraeli nel XIX secolo salì al potere conquistando la classe operaia e promise di sanare le ferite sociali e di riconciliare città e campagne.
Nel frattempo, la sterlina è schizzata del 2,5%. Segno che i mercati credono all’ennesima scommessa di Johnson, quella di un «Regno Unito globale», libero dalle «catene» dell’Ue, in un remake imperiale- commerciale. Secondo Gideon Rachman del Financial Times, ciò non è impossibile, perché la Gran Bretagna è inusualmente connessa con tutto il mondo, a livello economico, culturale e di sicurezza.
Ma, chissà, forse Boris ha un’altra sorpresa in canna. Un ospite di un suo ricevimento giovedì si è permesso di chiedergli se abbia in mente di sposare la sua fidanzata Carrie Symonds. Johnson ha risposto: «Ah, finalmente! Nessun giornalista mi fa mai domande del genere. Vedremo, vedremo…». Ed è subito gossip.