La Stampa, 14 dicembre 2019
Quando Zavattini voleva portare Anna Frank ul grande schermo
Pubblicato per la prima volta ad Amsterdam in lingua originale nel 1947, il Diario di Anne Frank ha visto da allora decine e decine di traduzioni ed edizioni diverse, nel 2009 è stato inserito dall’Unesco nell’«Elenco delle Memorie del mondo». Ha avuto anche una lunga serie di riduzioni cinematografiche e televisive, di adattamenti teatrali e persino film d’animazione. Più passano gli anni, più la forza e la dolcezza di quel racconto rivelano le straordinarie doti letterarie di colei che sarebbe certamente diventata una scrittrice dalla voce unica, se la Shoah non l’avesse portata via. Il Diario è una pietra miliare nel nostro rapporto con la memoria di quegli anni, un libro indispensabile per confrontarsi con quel passato. Ma è anche un testo di grande valore letterario e umano.
Una “breve opzione"
In questo vasto «universo» che le pagine di Anne Frank hanno ispirato e continuano a ispirare, c’è però un’assenza. Forse il più bel film tratto dal suo Diario non l’abbiamo mai visto, né mai lo vedremo, perché non esiste. Possiamo solo seguirne le tracce sul filo di una scarna corrispondenza che viene alla luce in questi giorni, in occasione di una grande mostra su Cesare Zavattini che s’inaugurerà oggi a Reggio Emilia.
Lo sceneggiatore, giornalista, scrittore emiliano, scrive a Otto Frank, il padre di Anne, il 31 maggio 1954. Gli si rivolge in italiano, in una lettera toccante, che inizia così: «ho letto con profonda commozione il diario di sua figlia pubblicato dall’editore Einaudi. Due anni fa la signora Gobetti di Torino, vedova dello scrittore Piero Gobetti, mi mandò il diario nell’edizione francese consigliandomi di esaminarlo sotto un profilo cinematografico, ma la mia scarsa conoscenza della lingua mi impedì purtroppo di entrare in contatto con quelle straordinarie pagine». Il Diario è infatti uscito in italiano per la prima volta da poche settimane, per l’editore Einaudi. Zavattini prosegue spiegando che la sua «ambizione di italiano sarebbe quella di scriverne la riduzione cinematografica e di riuscire a farlo realizzare nel mio paese», e «che ci sono dei grandi registi che non possono non appassionarsi come mi sono appassionato io al diario, e penserei di rivolgermi primieramente al mio amico Vittorio De Sica».
L’obiettivo di questa lettera è quello di ottenere una «breve opzione», tale da permettere a Zavattini di fare i primi passi verso tale produzione. Ma non c’è questo soltanto. C’è lo stupore, ancora palpabile, di fronte a quelle pagine. C’è una premonizione precisa, calzante, sul ruolo che il Diario dovrebbe avere nella memoria del Novecento, in un tempo in cui i conti con la storia, sono ancora imbrigliati in un passato troppo recente: tutto era appena successo. Eppure, la lettura di Zavattini è così nitida e precisa, coglie tutte le potenzialità «mediatiche» del Diario: «Devo dire che pochi libri mi sembrano come questo degni di essere divulgati con il potente mezzo del cinema, perché non si può essere contro la guerra in un modo più semplice e più universale di così, e credo che la figura della piccola Anna riuscirà perciò a imporsi dappertutto come un simbolo».
La lettera prosegue con una breve disamina di quel neorealismo in cui si innesterebbe il film come espressione migliore del cinema italiano, nel suo «fare dei film di partecipazione concreta alla vita del nostro tempo. Nessun problema è attuale e concreto come quello della pace e della guerra, perciò il diario di Anna può essere considerato un grande esempio di neorealismo ante litteram».
Nulla di fatto
Otto Frank risponde già il 9 giugno alla lettera di Zavattini, da Basilea, in francese. Dice che conosce e ammira assai De Sica, ma mette subito le mani avanti: ha un contratto negli Usa con il produttore Kermit Bloomgarden per i diritti teatrali, e non può al momento impegnarsi con un film. La lettera successiva è di un anno esatto dopo, il 9 giugno 1955 – evidentemente Zavattini si era segnato sull’agenda il momento di tornare sull’argomento. Vuole sapere «quali possibilità ci sono ancora oggi». Frank risponde prontamente anche questa volta: non si è dimenticato, certo che no. Ma il 5 Ottobre ci sarà a New York la prima della pièce teatrale, ci sono movimenti per i diritti cinematografici e consiglia a Zavattini di rivolgersi direttamente a Bloomgarden. Conclude la lettera dicendosi commosso dall’interesse di Zavattini per questo progetto, e dal “profondo sentimento umano” che lo anima.
Ma il film, purtroppo, non andò mai in porto, e il progetto si arenò sulle sabbie di questo breve scambio epistolare, improntato tanto alla cortesia quanto a una certa distanza – non soltanto geografica. Zavattini scrive in italiano, Frank risponde in francese, l’uno usa parole appassionate, l’altro sembra più distaccato – forse perché erano i suoi primi anni alle prese con un’eredità letteraria e morale tanto importante quanto ingombrante, ed era un padre orbato. Questo film mancato ci regala però oggi un aspetto inedito, profondamente toccante, della personalità di Zavattini e della sua intelligenza del mondo.