La Stampa, 14 dicembre 2019
Roma città chiusa
Quando Roma s’allaga e anche quando, come ieri, non s’allaga, tutti ci diciamo: eh, però bisognerebbe pulire i tombini e le caditoie. A Roma fra sconosciuti non si parla del tempo e basta, si parla del tempo per parlare dei tombini e delle caditoie da pulire. Da anni. Ogni tanto un sindaco dice (non solo Virginia Raggi): abbiamo pulito i tombini e le caditoie. Poi Roma si allaga e noi ci diciamo: non avevano pulito i tombini e le caditoie. E così ieri, siccome i tombini e le caditoie eccetera, il sindaco attuale ha chiuso le scuole e pure i parchi e i cimiteri, perché, ha spiegato, l’incolumità dei bambini e dei cittadini è la nostra prima preoccupazione. Sul sito della Protezione civile c’era scritto codice giallo. Nell’ordine: codice verde, nessun allarme; codice giallo, allarme ordinario; codice arancio, allarme moderato; codice rosso, allarme elevato. Eccolo lo spirito di Roma: l’ordinario è preoccupante. Chiudersi in casa: eccola la nostra lapide. Si chiudono le strade perché ci sono le buche, si chiudono i negozi nel weekend perché c’è la concorrenza degli stranieri, si chiudono le stazioni della metropolitana perché si sono rotte le scale mobili, si chiudono le discariche e si chiude ai termovalorizzatori perché i rifiuti sono brutti, si chiudono i progetti dello stadio nuovo perché coltivano cemento e non fiori, si chiude agli investitori perché portano denaro che è sterco del diavolo e si chiude alle Olimpiadi perché poi ci si fanno sopra le tangenti. Come se ci fosse rimasta soltanto la strategia dei topi con cui condividiamo la città: rimanere rintanati per paura dell’ombra.