il Giornale, 14 dicembre 2019
l Vaticano gira ai poveri solo il 10% dell’Obolo di San Pietro. Un’inchiesta del Wall Street Journal
I venti forti degli scandali, finanziari soprattutto, continuano a soffiare bei pressi del Cupolone. Non si è ancora spento il clamore delle indagini, con annesse dimissioni e perquisizioni eccellenti, sui fondi usati per speculazioni immobiliari, fino al cuore di Londra, quanto meno discutibili. E ora la lente giornalistico-investigativa si posa sulla gestione del famoso “Obolo di San Pietro”. Quel che viene analizzata, anche in questo caso, è la presunta cattiva gestione delle finanze vaticane, nella fattispecie i soldi donati dai fedeli di tutto il mondo. L’indagine l’ha condotta l’autorevole quotidiano statunitense Wall Street Journal, attraverso testimonianze e ricostruzioni fornite da fonti rimaste anonime, e attraverso i dati ufficiali, il giornale spiega come starebbe funzionando l’Obolo, ossia i soldi raccolti tra i fedeli soprattutto il giorno della festa di San Pietro, il 29 giugno e amministrato dalla Segreteria di Stato. Soldi destinati al Pontefice in prima persona, che li investe nella gestione della Chiesa e nelle sue missioni in tutto il mondo. Il Wall Street Journal sostiene che solo una piccola percentuale di questa raccolta, pari circa al 10 per cento, sia destinata alle opere di carità. La maggior parte viene invece investita o finanzia il bilancio, sempre più in rosso, del Vaticano in generale. Un’accusa pesante, che colpisce la sensibilità dei fedeli. Esiste il sito ufficiale dell’Obolo, grazie al quale si possono effettuare le donazioni in qualsiasi momento. Qui si trovano anche dettagliate descrizioni su cosa sia effettivamente l’Obolo e a che cosa serva: «Non è soltanto un gesto di carità, un modo di sostenere l’azione del Papa e della Chiesa universale a favore specialmente del l’inutilità e delle Chiese in difficoltà, ma un invito a prestare attenzione ed essere vicini a uova forme di povertà e di fragilità». OPERE DI BENE E in una sezione apposita vengono segnalate alcune iniziative attraverso le donazioni: 100mila euro alle diocesi colpite dal terremoto in Albania; 100mila euro per assistere migranti dei campi profughi di Moria e Kara Tepe, in Grecia; 50mila dollari per aiutare le popolazioni del Nepal, anch’esse colpite dal terremoto. Però, si sottolinea nell’inchiesta, negli ultimi cinque anni solo il 10 per cento dei soldi raccolti è stato usato per ragioni simili, circa due terzi sono finiti a coprire il deficit finanziario della Santa Sede. Secondo i dati disponibili, analizzati anche dal giornale Usa, nel 2018 l’Obolo ammontava a circa 600 milioni di euro, in calo rispetto agli anni del pontificato di Benedetto XVI, quando si era arrivati a 700 milioni l’anno. Il risultato dell’azione combinata, diciamo così, di investimenti sbagliati e della diminuzione delle donazioni stesse, che sono passate da 60 a 50 milioni di euro dal 2017 al 2018 e per il 2019 è previsto un ulteriore calo. SCANDALI CONTINUI Complici gli scandali, appunto, sia per gli abusi sessuali, sia quelli propriamente finanziari, tra accuse di corruzione, sprechi, inefficienze, acquisti dispendiosi, che avevano funestato gli ultimi tempi del pontificato di papa Benedetto e che sono ricorrenti negli anni di papa Francesco. L’ultimo capitolo si è aperto nei mesi scorsi. Cominciato con i 200 milioni, forse anche di più, usati per comprare immobili lussuosi nel quartiere “in” londinese di Chelsea, in buona parte provenienti proprio dai fondi delle offerte. Una perquisizione della gendarmeria vaticana della sede dell’Autorità di Informazione Finanziaria (Aif), l’organo del Vaticano istituito per la lotta al riciclaggio, con il sequestro di documenti, ha fatto molto rumore. Il direttore, Tommaso Di Ruzza, e quattro dipendenti sono stati sospesi. Lo stesso Francesco è intervenuto pubblicamente per spiegare che aveva autorizzato le perquisizioni e aveva voluto spiegare l’uso dell’Obolo, difendendo la pratica di investirlo. Il Pontefice da tempo sta comunque tentando di arginare i danni: nel maggio scorso ha invitato il capo del Consiglio di controllo finanziario del Vaticano, il cardinale Marx, «a studiare le misure necessarie per salvaguardare il futuro economico della Santa Sede». Livello di allarme alto, insomma, con l’incubo di default sempre vivo, a cui si associa il timore, sempre secondo quanto sostenuto dal WSJ, che anche questo uso delle offerte diffonda un nuovo senso di sfiducia verso le istituzioni ecclesiastiche