La storia del calcio in 50 ritrati, Centauria 2019, 13 dicembre 2019
Breve biografia di Marco Tardelli
24 settembre 1954 (Careggine, Italia)
Una volta la figlia di Marco Tardelli, Sara, raccontò di aver apprezzato fino in fondo il famoso urlo di gioia di suo padre per il 2-0 alla Germania quando una signora le aveva confidato di aver dato in quell’occasione il primo bacio all’uomo che sarebbe diventato suo marito. C’era una scommessa in ballo, di quelle che stipulano gli innamorati ancora inconsapevoli: se l’Italia vince il Mondiale, ti do un bacio. L’entusiasmo irresistibile e selvaggio di Marco valeva un timbro notarile: mancano ancora un po’ di minuti, ma abbiamo vinto. Era già il momento di riscuotere.
Ce ne sono a migliaia di storie così, legate all’esultanza iconica per eccellenza, perché quel gol, quella partita, quel Mondiale sono gli elementi chiave di una generazione, frammenti di un’educazione sentimentale al calcio e alla vita. L’insegnamento massimo: vince la passione, sempre. Di quella squadra meravigliosa – l’Italia campione del mondo 1982 – Tardelli era uno dei cardini, la mezzala potente, energica e precisa di stampo olandese, il miglior esempio di una mutazione anche fisica che aveva investito il nostro calcio dopo gli anni degli “abatini”, per dirla con Gianni Brera. Tardelli non dormiva mai prima dei grandi match, tanto che Enzo Bearzot l’aveva soprannominato “coyote”, il lupo che di notte vaga insonne per la prateria americana. Ed è questa febbre da competizione a farlo correre da un’area all’altra – box to box, all’inglese – nei dieci anni in cui la Juve, dapprima solo italiana e poi rinforzata da Platini e Boniek, vince in fila tutte le coppe europee.
La più grande mezzala del nostro calcio è stata in seguito un allenatore migliore di quanto si pensi, perché ha portato a casa un titolo europeo Under 21 valorizzando Andrea Pirlo e si è in pratica ritirato – limitandosi a fare da vice a Trapattoni in Irlanda dopo l’unico vero flop, la stagione all’Inter. In un certo senso, è rimasto prigioniero di quell’urlo. Non ci pensa mai nessuno, ma fu anche il suo ultimo gol azzurro.