La storia del calcio in 50 ritrati, Centauria 2019, 13 dicembre 2019
Breve biografia di Ronaldinho
21 marzo 1980 (Porto Alegre, Brasile)
Per primi scattano in piedi, a macchia di leopardo, gli spettatori seduti dietro alla porta dove ha appena infilato il 3-0. Seguono quelli dei settori centrali, poi tocca alle file più alte, infine l’intero stadio si convince ad alzarsi e battere le mani a un avversario così bravo. Il giorno è il 19 novembre 2005, lo stadio è il Bernabeu, l’avversario è Ronaldinho. A quell’epoca la standing ovation dei tifosi del Real Madrid nei confronti di un giocatore del Barcellona aveva un solo precedente, Maradona; anni dopo si aggiungerà Iniesta, e questo è tutto. Niente Messi, per dire (un’assurdità), ma al Bernabeu non si comanda. Scatta in piedi soltanto davanti a chi vuole – tre italiani possono vantarsene: Del Piero, Pirlo e Totti – e ai “catalani” chiede di più. Quella sera Ronaldinho, percorrendo per due volte in apparente scioltezza un corridoio zeppo di avversari, e piazzando la palla una volta alla destra e una alla sinistra di Casillas, disegna arte. L’applauso di un pubblico fieramente rivale è il giusto premio.
Ronaldinho è l’uomo che all’inizio del secolo cambia la storia del Barcellona, invertendo con i suoi giochi di prestigio un periodo di forte impronta madridista (l’era dei primi “galacticos”). La sua freschezza aveva già spinto il Brasile al titolo mondiale del 2002, i suoi numeri rilanciano il Barça e, lo scopriremo poi, garantiscono un ingresso in scena tranquillo a Leo Messi: nel senso che l’inimmaginabile talento dell’argentino incrocia all’inizio difese già duramente impegnate. Il rovescio della medaglia è che Messi diventa subito il leader tecnico della squadra, e i languori di Dinho – tanto bravo in campo quanto debole fuori – vengono risolti da Guardiola con la cessione. Psicologicamente, è la sua fine. Ronaldinho comincia a estinguersi a 26 anni, dopo un Mondiale fallito per troppi bagordi, e di lì la sua discesa è inarrestabile e triste, perché l’umana solitudine lo porta a commettere un po’ di sciocchezze. Distanti, molto distanti da quella standing ovation.