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 2019  dicembre 13 Venerdì calendario

Breve biografia di Ferenc Puskas

2 aprile 1927 (Budapest, Ungheria) 17 novembre 2006 (Budapest, Ungheria)
Nel 2009 la Fifa ha istituito il premio per il gol più bello dell’anno e l’ha intitolato a Ferenc Puskas. Basterebbe questa scelta a descrivere la portata del mito ungherese, ma sarebbe un peccato tacere i numeri: 746 gol ufficiali in carriera, 383 dei quali nelle 367 gare giocate in patria. A suon di gol Puskas si è costruito un impressionante palmares in due fasi: la prima dura fino al ’56 ed è nel segno della Honved, la squadra dell’esercito che requisisce i giocatori migliori vincendo cinque campionati e trasferendosi in blocco in nazionale per missioni come l’oro olimpico di Helsinki ’52 e il Mondiale di due anni dopo. Nel torneo che si gioca in Svizzera, l’Ungheria sembra avere vita facile: passa da una goleada all’altra superando la Germania nel girone (8-3), il Brasile nei quarti (4-2) e l’Uruguay in semifinale (4-2). Nella finale, nuovamente contro i tedeschi, Puskas al 6’ e Czibor all’8’ portano l’Ungheria avanti 2-0, e sembra già finita: l’incredibile rimonta della Germania è la pagina nera della carriera di Ferenc. Due anni dopo la Honved è a Bilbao per un match di coppa quando i carri armati sovietici invadono l’Ungheria. Spaventati dalle notizie in arrivo da Budapest – più di tremila morti in quei giorni terribili – i giocatori si rifiutano di rientrare e cercano di farsi raggiungere dalle famiglie. Alcuni poi torneranno, altri come Puskas si rifanno una vita in Europa, dove però l’Uefa li squalifica per due anni. La seconda fase della sua carriera, quella al Real Madrid, inizia così solo nel ’58, a 31 anni, ma lui ci mette poco a diventare uno dei pilastri della favolosa squadra di Di Stefano e Gento. Con i blancos Puskas vince sei campionati e tre coppe dei Campioni, restando in campo fino a 39 anni e segnando la bellezza di 242 gol in 262 gare. L’ho incrociato una volta a Budapest, nello stadio che gli hanno intitolato, accudito perché negli ultimi anni era tormentato dall’Alzheimer. Come Gerd Müller. Come se la memoria svanita di troppi gol fosse un destino comune.