La storia del calcio in 50 ritrati, Centauria 2019, 13 dicembre 2019
Breve biografia di Alfredo Di Stefano
4 luglio 1926 (Buenos Aires, Argentina) 7 luglio 2014 (Madrid, Spagna)
Una volta ho stretto la mano ad Alfredo Di Stefano. Successe nel foyer del Bernabeu, e l’emozione di quel momento non svanirà mai perché, come in un film, mi bastò guardarlo negli occhi per venire sbalzato nella grande Buenos Aires degli anni 40, all’inizio della storia. Il ragazzo Di Stefano va a giocare nel River, ed è così bravo che Adolfo Pedernera, leader di un irresistibile quintetto offensivo chiamato “la maquina”, lo prende in antipatia, consapevole che presto gli avrebbe tolto il posto. Dopo un prestito all’Huracan per consentirgli di crescere in pace, Di Stefano comincia a segnare le valanghe di gol che avrebbero ritmato l’intera sua carriera. Bello come un attore e affamato di vita come una rockstar ante litteram, Alfredo non si risparmia fuori dal campo; ma quando ci entra, ciò che chiede e ottiene dal suo fisico è impressionante. Il mix fra classe, velocità e potenza ne fa un prototipo che, dopo una parentesi a Bogotà, lo porta in Spagna: il Real lo strappa al Barcellona con l’aiuto del dittatore Franco.
Qui la storia si trasforma in leggenda perché la “Saeta Rubia” vince otto campionati e soprattutto le prime cinque coppe dei Campioni segnando in tutte le finali: inutile dire che nessuno ha mai replicato una simile performance. Alfredo ferma l’emorragia a Parigi contro lo Stade Reims nel ’56 (gol dell’1-2, finisce 4-3), sblocca il risultato su rigore contro la Fiorentina nel ’57 (a Madrid finisce 2-0), contro il Milan nel ’58 a Bruxelles pareggia il vantaggio di Schiaffino (3-2 il finale), nel ’59 fissa il definitivo 2-0 a Stoccarda ancora col Reims e infila i primi due gol del Real più l’ultimo nel pirotecnico 7-3 all’Eintracht Francoforte del ’60 a Glasgow. “Vedo” tutto questo, mentre gli stringo la mano sedotto da una storia che ha attraversato il mondo quando gli aerei erano ancora “macchine volanti”. Poi don Alfredo si tocca il basco e guadagna il posto riservato nella tribuna d’onore del Santiago Bernabeu: per noi uno stadio, per lui il presidente del suo Real. Un vecchio amico, insomma.