La storia del calcio in 50 ritratti, Centauria 2019, 13 dicembre 2019
Breve biografia di Roberto Baggio
18 febbraio 1967 (Caldogno, Italia)
Eravamo tutti buddhisti, in quell’estate del ’94: buddhisti e zonisti, adepti del culto di Roberto Baggio e seguaci della religione di Arrigo Sacchi. Eravamo giovani e forti, e siamo morti soltanto all’ultimo ostacolo, quando Baggino – chiamavamo così Roberto per distinguerlo dall’omonimo Dino, un gigante detto Baggione – calciò alto l’ultimo rigore della finale mondiale, un Brasile-Italia bloccato e noioso, ma chi ci pensava in quei momenti... Era un’Italia dura da rodere: sempre sull’orlo del precipizio eppure capace di cavarsela all’ultimo come gli eroi dei film. Prima perché Sacchi, con la Nazionale già sconfitta all’esordio e presto in dieci nella seconda partita, ebbe il coraggio di togliere Baggino mantenendo equilibrata la formazione e aprendo la strada al gol-vittoria di Baggione. Poi perché Roberto seppe rimontare psicologicamente quello smacco, ridiventando dagli ottavi il miglior giocatore del mondo che era.
Quel Mondiale lontano, assurdo, drammatico e ruggente è il Ricordo per eccellenza della mia generazione di giornalisti. Baggino ne fu il pifferaio magico, dal miracoloso pareggio all’88’ con la Nigeria (ancora in dieci) al rigore vincente nei supplementari, dal colpo risolutivo ancora all’88’ contro la Spagna alla doppietta ai bulgari in semifinale, caricate i bagagli che si vola a Los Angeles. Roberto viaggia con la gamba distesa, gli hanno tolto il sedile anteriore per far riposare l’arto: si è stirato dannazione, lo sospettiamo tutti anche se lo staff medico parla di contrattura. Dopo tre giorni di dubbi va in campo, ma non è lui. Se il finale è triste, però, il cammino resta indimenticabile. “Eravate sull’aereo per tornare a casa, e io vi ho tirato tutti giù”: dopo la Nigeria in pochi abbiamo la freddezza di attendere l’ultimo istante utile per aggiungere ai pezzi sulla partita una dichiarazione dell’eroe. In Italia era notte fonda. Ma nella mia memoria non uno di quegli attimi a dettare il bollettino di vittoria è andato perduto. Gliene sarò grato per sempre.