il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2019
Le favole anticonformista di Angela Carter
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Anticonformista, ribelle, refrattaria a ogni cliché, la britannica Angela Carter era forse troppo impegnata a vivere per cercare consensi e arrovellarsi sul perché fosse esclusa dal gotha degli scrittori dell’epoca, relegata, sino alla fine, alla dimensione del bizzarro, fiore esotico incatalogabile.
Morta di cancro nel ’92, a 52 anni, oggi autrice di culto nei corsi universitari di letteratura anglosassone, Carter il segno l’ha poi lasciato e sono proprio i racconti, caleidoscopici arabeschi in cui la realtà come si è soliti intenderla non trova spazio, a rappresentarla di più. Lo dimostrano quelli scritti tra il ’62 e il ’79, contenuti ne Nell’antro dell’alchimista, primo di due volumi edito da Fazi, che di lei ha già pubblicato Figlie sagge e Notti al circo. Amata da scrittori, che erano anche amici, come Margaret Atwood, Ali Smith e Salman Rushdie, che firma un’intima prefazione definendola “di una schiettezza acuminata” e la ricorda a poche settimane dal decesso come una che non molla mai, studiò letteratura medievale, studi che riecheggiano in una scrittura peculiare, imbevuta di realismo magico, a sondare le anse più inquietanti dell’animo umano. Si tratta di racconti, variazioni su temi folkloristici e fiabeschi in cui si mescolano eros e morte, grottesco e gotico e la natura più selvatica è cuore primitivo che mesmerizza, specchio (gli specchi ricorrono) dell’inconscio. Al centro campeggiano soprattutto icone femminili dark, virginali o navigate, che sprizzano erotismo e sete di riscatto dalla fallocrazia da ogni poro. Se i racconti, intrisi di solitudine e col leitmotiv della violazione del corpo, che pescano dai due anni vissuti in Giappone nei ’60, restituiscono un mondo maschilista e prevaricatore (da qui la sua radicalizzazione e lo sposare la causa femminista), nella bella e rappresentativa terza e ultima parte, La camera di sangue e altri racconti, regna la riformulazione di celebri fiabe della tradizione. Barbablù, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, La bella e la bestia. Contrariamente alle versioni originali dove boschi e castelli sono abitati da fanciulle indifese, ingenue, sperdute, imprigionate, in attesa di qualcuno che le salvi, qui le protagoniste emanano il profumo vittorioso di chi si libera (o viene liberata, come in La camera di sangue, da una madre che sfida la morte) dal modello patriarcale per essere ciò che si è e si vuole. Fosse pure incarnare le fantasie sessuali tipiche degli uomini. Ci riescono spesso servendosi della seduzione erotica, arma di vendetta, altro suo topos letterario, come ne Il re degli gnomi dove una singolare Cappuccetto Rosso fornica, godendo, col Re degli Gnomi appunto, salvo poi strangolarlo quando lui vuole farne una sorta di usignolo ingabbiato, o della metamorfosi, come ne La sposa della tigre, in cui una trasgressiva Bella si trasforma in gloriosa tigre non per assecondare la Bestia (tigre pure lui) ma per affermarsi nella sua natura bestiale, pulsionale, amorale (accade anche ne La compagnia dei lupi) senza più mascherarsi da essere umano. Sì, perché le sue donne non cercano la parità dei sessi, la travalicano proprio. Così vicina a Poe, Lovecraft e E.T.A Hoffman, Carter regala un senso di vertigine, straniamento e dipendenza morbosa a cui è impossibile sottrarsi.