la Repubblica, 13 dicembre 2019
Un bellaintervista a Rolando Maran, il tecnico del Cagliari
Tanto per far capire che tipo è Maran. Gli chiedo se ha già incontrato Gigi Riva. «Sarebbe bellissimo, ma non è ancora capitato». Vivete tutt’e due a Cagliari, non sembra così difficile. «Ma io non sono uno che sgomita e a lui piace vivere appartato. Succederà, prima o poi. Riva, tra l’altro, è uno dei miei miti, con Rivera. Vengo da una famiglia di milanisti e riveriani». Di sé parla col distacco che userebbe parlando di un altro. «Sono il primo trentino ad allenare in serie A, e ci sono arrivato a 49 anni. Il nonno veniva da Padova, ha messo su un’azienda di decorazione e restauro di pitture murarie che a Trento ha fatto lavori importanti, anche in piazza Duomo. I miei fratelli Lino e Florio, 13 e 10 anni più di me, hanno tenuto su il lavoro quando mio padre si è ammalato, è andato in dialisi a 50 anni. Florio è presidente regionale dell’Associazione allenatori e selezionatore della rappresentativa calcistica del Trentino- Alto Adige».
Regione che produce pochissimo, in termini di pallone.
C’è un motivo?
«Secondo me sì. Abbiamo una sola squadra di C, a Bolzano. Tutto il resto è sparso, poco organizzato. Il materiale umano ci sarebbe, manca chi saprebbe individuarlo e valorizzarlo. Una squadra-faro, ecco. Quello che il Cagliari è per la Sardegna. Sui vivai la società sta lavorando molto bene».
Quando lei era al Chievo, le chiesero il nome di un ragazzo molto promettente e lei disse Inglese. Gliene chiedessi due del Cagliari?
«Il portiere Ciocci e il difensore polacco Walukiewicz».
Bene, torniamo a Trento.
«Bel posto per uno sportivo.
D’estate giocavo a pallavolo, d’inverno andavo a sciare, ma sapevo che il mio posto sarebbe stato in ditta e non mi sono sottratto. Copiando un po’ qua un po’ là son riuscito a diventare geometra. Avevo cominciato a giocare a calcio tra i dilettanti, Trento e Benacense di Riva del Garda. M’è arrivata una proposta di contratto dal Chievo, in C. Ne ho parlato in famiglia, s’è deciso di provare per un anno, se andava andava. È andata, niente di sensazionale ma è andata».
Ha sempre giocato in difesa?
«Sempre. Difensore centrale, di quelli definiti arcigni, molto applicato sull’uomo. Puntavo sul fisico. La mia fortuna è stata la zona di Malesani. Ho diminuito l’aggressività, ho cominciato a ragionare, a scalare la marcatura.
Con la maglia del Chievo ho giocato 330 partite tra C e B, molte con la fascia da capitano. In panchina arrivo per una promessa di Baldini.
Quando mi danno una squadra di B, ti chiamo a farmi da vice, aveva detto. E ha mantenuto. Io giocavo a Fano, avevo 32 anni, scelta facile. La squadra era il Chievo. Mi sono ritrovato a casa. Gran persona, Baldini».
Ne sono certo, anche se gli è
capitato di tirare un calcio in culo a un collega.
«Va be’, ha il suo carattere, ma nel mondo del calcio ho conosciuto poche persone generose e disinteressate come lui».
Ci sono altri allenatori che hanno lasciato il segno sul futuro allenatore Maran?
«Ciccio Franzoi, che ho avuto al Trento. Quando penso alle cose che vorrei trasmettere, vorrei essere come lui».
Cosa vorrebbe trasmettere?
«Il rispetto delle persone e anche delle cose, le cose più piccole, anche. Non si butta via nulla finché lo si può aggiustare, diceva. Gli portavamo le scarpe bucate, sfondate, e lui le aggiustava nel suo stanzino. Ce ne vorrebbero tanti come lui nei settori giovanili e invece ce ne sono pochissimi.
Vogliono far crescere campioni e non fanno crescere gli uomini».
Dopo altra gavetta fatta di alti e bassi, lei approda in A, a Catania. Ed è record di punti: 56.
Davanti, con Barrientos e Bergessio, c’era un certo Papu Gomez. Si capiva cosa sarebbe diventato?
«Si capiva cos’era, un ottimo giocatore: 8 gol e 8 assist. Con un difettuccio: sembrava legato alla striscia bianca, si spostava malvolentieri in altre zone. Adesso non ha più nemmeno quello: è un grande uomo-squadra, un uomo-orchestra. Ed è davvero storica l’impresa dell’Atalanta in Ucraina, fa bene a tutto il calcio italiano».
Anche Nainggolan è un grande uomo-squadra?
«Sì. Molti lo vedono come un giocatore tutto fisico e istinto, ma io posso dire che tatticamente è tra i più intelligenti che ho avuto la fortuna di allenare. Prevede il gioco».
Siete lassù, ma non c’erano buoni segnali.
«Avevamo tre uomini in Nazionale: Cragno, Barella e Pavoletti. Barella è andato all’Inter, Cragno e Pavoletti si sono infortunati seriamente. È stata molto brava la società a correre ai ripari in tempo utile».
E adesso?
«Non faccio promesse, né tabelle. Ci siamo meritati il posto che occupiamo, godiamoci il paesaggio e tra un po’ se ne riparla. In un mese circa dobbiamo affrontare Lazio, Juve, Milan e Inter. La Lazio, e non lo dico perché dobbiamo giocare la prossima con loro, è molto forte e pratica, ha trovato fiducia e continuità. Non la vedo come intrusa tra Juve e Inter, se la giocherà alla pari. Nello stadio del Sassuolo c’erano più sardi che emiliani. Dobbiamo sentire l’orgoglio di rappresentare questa gente, e loro l’orgoglio di essere rappresentati da noi».
A Cagliari vive in albergo?
«No, ho preso un appartamento, come a Catania. Mi piace sentirmi parte della città, non un viaggiatore. A Cagliari la gente è rispettosa, non assilla, insomma si può lavorare bene. Sul lavoro cerco di essere chiaro e credibile. I risultati nascono dall’equilibrio e dalla continuità, ogni partita fa storia a sé ma tutte le partite sono pagine dello stesso libro. Alla mia squadra chiedo di essere artefice della propria prestazione, la storia della partita dobbiamo scriverla noi e non subirla. Che non vuol dire attaccare in otto, ma sapersi anche difendere. Se gli altri sono superiori, ce lo dimostrino».
Sta limando qualche particolare del gioco?
«L’aspetto su cui lavoro più volentieri negli ultimi tempi è la fase di possesso: come uscire dalla prima pressione, come dare diverse soluzioni al portatore di palla».
Chi si diverte a vedere, in Europa?
«Il Liverpool, transizione veloce, massima pericolosità col minimo sforzo».
Due parole sul Var?
«Le regole non aiutano gli arbitri. E poi, in uno sport di contatto, dire “c’è stato contatto” non equivale a dare un rigore. C’è contatto falloso e contatto non falloso. Ha ragione Capello a dire che in Italia gli arbitri fischiano troppo. Lui può fare paragoni con l’estero, io no, ma la sensazione è questa».
Al di fuori del calcio, se può interessare, gli piacciono molto gli U2 e, tra i vini, quelli non troppo imponenti: il Valpolicella Ripasso più dell’Amarone, il Carignano più del Cannonau. Ossia il contrario di quello che è stato da giocatore.
Infine, se Maran fosse in una foto di gruppo lo trovereste nell’ultima fila (parzialmente coperto).