la Repubblica, 13 dicembre 2019
Sul cinquantesimo di piazza Fontana. Il commento di Michele Serra
L’impressione è che il cinquantesimo della strage di Piazza Fontana abbia restituito alla memoria collettiva, alla dignità delle vittime, all’infamia dei bombaroli, più di quanto ci si potesse aspettare: a cominciare dalla semplice, emozionante cerimonia milanese con il sindaco Sala e le figlie di Pinelli, diciottesima vittima della strage.
Forse ci lamentiamo un po’ troppo di noi stessi, delle scuole che non insegnano, degli scolari che non imparano, della tivù che rintrona, dei social che avvelenano, dei giovani che non si informano, del tessuto sociale sdrucito. Molto di quello che ho letto e sentito, a proposito del 12 dicembre, parla di persone (tante persone) che hanno memoria, coscienza, strumenti per capire, voglia di parlare e di ascoltare. Parla di una comunità che ricorda benissimo; e conosce, capisce, giudica. E a conti fatti, insomma, qualche insegnante ha insegnato; qualche giornalista ha raccontato; qualche scrittore ha scritto; qualche politico ha tenuto il punto.
Esiste dunque, e parla, e agisce, “la democrazia italiana”, della quale siamo eternamente al capezzale, dottori magari non richiesti. Esiste ed evidentemente ha vinto, visto che, mezzo secolo dopo, possiamo ben dire che è in odio alla democrazia italiana che i neofascisti piazzarono le bombe. Non ce l’hanno fatta, nonostante l’appoggio scellerato dei traditori di Stato, e dello Stato, che li hanno protetti e forse ispirati. Dunque abbiamo appena celebrato, insieme al dolore rinnovato per le vittime, una vittoria della nostra democrazia. Un minimo di felicitazioni possiamo farcele, forse.