Corriere della Sera, 13 dicembre 2019
Intervista a Toni Servillo. Parla della protesta a Parigi e dei francesi
La città è paralizzata dalle proteste eppure qualcosa va avanti. Il teatro dell’Athénée è una delle poche sale rimaste aperte anche in questi giorni di scioperi, e c’è chi si mette in cammino per ore pur di vedere l’italiano Toni Servillo portare in scena (fino a domani sera) «Elvira», le lezioni su Molière del grande attore e regista francese Louis Jouvet, «che morì in questo teatro, come Molière alla Comédie Française», dice Servillo. Lo incontriamo nella magnifica platea, poco prima dell’inizio dello spettacolo.
Come vive in questi giorni di Parigi bloccata?
«Prima di partire, la scorsa settimana, eravamo tutti piuttosto scoraggiati, pensavano che gli spettatori non sarebbero riusciti ad arrivare. Invece ogni sera ci sono in media 400 persone, quasi il tutto esaurito come nel 2017, quando portammo in scena”Elvira” per la prima volta».
È sorpreso?
«In questa situazione, senza mezzi pubblici e con i taxi bloccati negli ingorghi, che centinaia di persone si ostinino sotto la pioggia a raggiungere il teatro mi pare notevole. Credo che nei momenti di crisi il teatro offra una straordinaria sensazione di conforto. Offre il rifugio della vicinanza, dell’intelligenza e della bellezza rispetto a ciò che appare caotico e indecifrabile. Anche ad Atene nel 2012, quando giravo con Theo Angelopoulos che purtroppo poi venne investito sul set e morì, eravamo al culmine della crisi in Grecia ma teatri e cinema erano pieni».
L’eredità rivoluzionaria
Mi sembra che queste giornate vengano da lontano: amano lo zolfo della piazza
Che pensa delle proteste?
«Non mi azzardo a giudicare questo movimento in particolare, ma in questi giorni ho fatto incontri importanti, per esempio all’Istituto italiano di Cultura, e sono stato invitato dal rettore della Sorbona, Gilles Pecout, a tenere una lezione davanti ai ragazzi sul rapporto tra italiani e francesi. Ho letto un testo di André Gide, “A Napoli”, dove Gide fa un parallelo tra italiani e francesi. Degli italiani dice che sono dei grandi costruttori, e dei francesi dice invece che sono dei distruttori».
Francesi distruttori?
«Nel senso che da Voltaire a Rousseau a Diderot i francesi intervengono criticamente sulle forme date, inserendo nella realtà il dubbio illuministico. Distruttori in quanto capaci di mettere in discussione la realtà. Mi sembra che queste giornate siano eredità di qualcosa che viene da lontano, dalla Rivoluzione francese in poi. Il francese ama lo zolfo della piazza».
Come reagiscono i francesi nel vedere un grande attore italiano portare in scena Louis Jouvet su Molière?
«Di solito sono gelosi del loro repertorio, ma qui mi pare dicano “accidenti, doveva venire un italiano a ricordarci che abbiamo un gigante come Jouvet”. Io ne sono felice perché è in questo modo che si fa l’Europa. La mia compagnia Teatri Uniti di Napoli co-produce questo spettacolo con il Piccolo teatro di Milano diretto da Sergio Escobar, che fa un enorme lavoro per tenere viva la tradizione internazionale del nostro teatro».