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 2019  dicembre 13 Venerdì calendario

Il commento alle elezioni inglesi di Aldo Cazzullo

L’Europa perde Londra, stavolta davvero. La più antica democrazia del mondo era entrata nel labirinto la notte del 23 giugno 2016. Tre anni e mezzo di trattative e ripensamenti; un’elezione anticipata che non aveva risolto nulla; la caduta di Theresa May; l’avvento di Boris Johnson. La vera notte della Brexit è questa. E se sarà confermato l’exit-poll che dà 368 seggi (su 650) ai conservatori, allora il premier potrebbe avere maggiori margini di manovra: anche per negoziare un’uscita soft, che garantisca i diritti dei lavoratori stranieri e la libertà degli scambi commerciali.Boris Johnson aveva puntato tutto sulla Brexit, per queste storiche elezioni. Ha vinto. Il suo vantaggio su Jeremy Corbyn è netto, più del previsto. I laburisti crollano rispetto al 2017. Tengono i distretti della capitale, ma perdono quelli del Nord impoverito, favorevoli all’uscita dall’Europa. Il voto conferma che la sinistra non può credere di riconquistare il voto popolare con le ricette del passato: tasse, confische, nazionalizzazioni. Un monito anche per i democratici americani, tentati da leader – come Elizabeth Warren e Bernie Sanders – della stessa generazione e con idee analoghe a quelle di Corbyn.
G li elettori hanno fatto un’altra scelta. La Brexit aveva spaccato trasversalmente i grandi partiti e l’elettorato. Alcuni ultrà antieuropei hanno scelto il Brexit Party di Nigel Farage, che però non si è presentato nei collegi dove nel 2017 avevano vinto i conservatori. I paladini dell’europeismo hanno votato Libdem, soprattutto a Londra; ma sono voti che alla Camera dei Comuni peseranno poco. Per trarre le conclusioni occorre attendere i risultati definitivi. La notte elettorale britannica è sempre uno spettacolo: la Bbc si collega con i collegi più remoti, signori con la coccarda azzurra e rossa si offrono impettiti allo sguardo dei telespettatori, viene proclamato eletto un candidato che magari ha strappato poche decine di voti più del secondo. È lo spettacolo della democrazia. La frammentazione, lo scontento, l’incertezza rischiavano di trasformare la bellezza della partecipazione in un rito vano. Le previsioni della vigilia parlavano di una maggioranza risicata, se non di un Parlamento ingovernabile. Non è andata così. Il Regno Unito ha scelto un leader. Discutibile, inaffidabile, istrionico; ma un leader. Prima che dei conservatori, è la vittoria di Boris Johnson, e anche di un sistema uninominale maggioritario che semplifica la rappresentanza. Nel resto d’Europa la democrazia fatica a decidere. In Spagna si è votato quattro volte in quattro anni. In Germania la Grande Coalizione vacilla, e la Merkel pure. La Francia sciopera contro Macron. Dell’Italia meglio tacere per carità di patria. Si incrociano gli esiti dolorosi di tre grandi crisi: economica, migratoria, e crisi della costruzione europea. Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente, si prepara alle terze elezioni in meno di un anno. E quando la democrazia balbetta, allora sono soltanto le dittature – o le democrature russa e turca – ad alzare la voce. Londra stanotte va in controtendenza. Scommette sull’addio a Bruxelles. A questo punto l’Europa ha due strade. Tornare indietro, fermandosi all’unione monetaria, consolidando l’euro e restando lì. Oppure accelerare sulla via federalista, senza il freno che il Regno Unito ha sempre rappresentato. In questi anni Londra è stata con un piede dentro l’Ue e l’altro fuori. Non riconosceva né Schengen né Maastricht. Ha avuto più vantaggi che svantaggi; ma è una vicenda che questa notte relega al passato. Ormai il dado è tratto. La storia dirà se la scelta è stata giusta.