Corriere della Sera, 12 dicembre 2019
Non è facile presentare libri in tv, Zanchini lo fa con garbo
Non è facile presentare libri. È una missione che in molti sentono, convinti come sono che sia l’oggetto della nostra attenzione a nobilitare il lavoro e non l’attenzione stessa con cui lo facciamo, il punto di vista con cui sappiamo affrontarlo. Non è facile presentare libri, ma Giorgio Zanchini ci riesce: con misura, con competenza, con garbo: «Quante storie» (Rai3, dal lunedì al venerdì, ore 12.45).
La radio è una buona palestra (come insegna anche Piero Dorfles): Zanchini ha condotto programmi come «Il Baco del millennio», «Radio anch’io», «Tutta la città ne parla». Da anni è direttore, insieme con Lella Mazzoli, del Festival del giornalismo culturale dell’Università di Urbino.
Ha imparato così a non anteporre mai la sua persona al libro, a porsi al servizio dell’autore, a non cedere alla banalità delle promozioni. Lo scopo principale, persino enfatico, di molte rubriche che in televisione si sono occupate di libri è sempre stato quello di «avvicinarci» allo scrittore, di «farcelo conoscere da vicino», di «intrattenerci» con lui. Come se il personaggio creato dal video fosse più importante del libro stesso. Si dice «un libro di Bruno Vespa», non si dice il titolo del libro. Non c’è scampo, è come sottostare a una legge ancestrale: a parte rare eccezioni, nella storia della televisione italiana, i peggiori programmi culturali sono stati quelli che si dichiaravano esplicitamente «culturali». È una regola teorizzata tanti anni fa da Achille Campanile e poi da Beniamino Placido. Fruttero & Lucentini, per irridere i modi salivosi con cui vengono presentati certi libri, avevano inventato la figura del book-jockey: «Ciao gente, eccoci di nuovo qui per la nostra LIt-Parade delle diciannove quarantaquattro minuti e venti secondi, puntuali come il vecchio Kant...». Non lamentiamoci poi se tanta parte della narrativa moderna sembra già così implacabilmente televisiva. E lunga vita a Zanchini!