Corriere della Sera, 12 dicembre 2019
Cartabia eletta all’unanimità: la prima donna a capo della Consulta
Quattordici sì e una sola scheda bianca: la sua. Marta Cartabia, 56 anni, ordinario di Diritto costituzionale alla Bicocca di Milano, è stata eletta ieri presidente della Corte costituzionale con l’unanimità dei voti e dei consensi: per la concorde attestazione di stima professionale e ancor più perché per la prima volta la quarta carica dello Stato viene affidata a una donna.
E proprio alle donne la giurista cattolica che ha «rotto il vetro di cristallo» della Consulta ha rivolto il suo pensiero dicendo: «Speriamo di poter dire presto, come ha fatto l’altro ieri la neo-presidente finlandese Sanna Marin, che l’età e il sesso non contano». Ma «è ancora tanta la strada da fare», ha ammesso: le magistrate sono ormai la maggioranza (il 53%) ma non è così «nelle giurisdizioni superiori e ai loro vertici».
Arrivata alla Consulta nel 2011, Cartabia resterà fino a settembre 2020. Sarà un mandato di nove mesi al quale ha contribuito il «passo indietro» dei vicepresidenti, Morelli e Carosi.
«La tua elezione è la nostra elezione» festeggiano le giudici costituzionali Daria De Pretis, Silvana Sciarra e la vicepresidente emerita della Corte, Fernanda Contri. Mentre piovono congratulazioni. Il primo ad esprimerle «gli auguri più grandi» il capo dello Stato, Sergio Mattarella. «È una giurista di altissimo livello, la sua elezione è un segnale importante per le istituzioni», commenta il vicepresidente della commissione Affari costituzionali Ue, Giuliano Pisapia. E il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick auspica che «un passaggio di questo genere non debba più essere visto come una rarità».
Applauso concorde di tutte le forze politiche in aula al Senato. Con la presidente Elisabetta Casellati che dichiara «l’orgoglio di vedere finalmente una donna ai vertici della Consulta».
L’entusiasmo
Mattarella: «Segnale forte per le istituzioni» Applausi concordi di tutte le forze politiche
Unita sul suo nome anche la compagine di governo. Luigi Di Maio, leader M5S, parla di «giornata storica per l’Italia». Nicola Zingaretti, segretario del Pd, di «grande passo avanti per l’Italia». Pietro Grasso (Leu) di «bella notizia». Matteo Renzi (Iv) di «segnale bellissimo». E sulla stessa linea l’opposizione. «Farà un ottimo lavoro», garantisce il leghista Roberto Calderoli. Per Annagrazia Calabria (FI) «Viene scritta una pagina di storia sociale». E Giorgia Meloni (FdI) chiosa: «Il tabù di una donna alla guida della Consulta avrebbe dovuto essere abbattuto prima».
Ma quale impronta darà la neopresidente alla Consulta? Molti i temi evidenziati nella sua prima conferenza stampa. A partire dal «problema di civilità» di un Paese «in cui calano gli omicidi ma non i femminicidi». Ma non ha glissato sui temi roventi del dibattito parlamentare. A partire dai tempi compressi della manovra economica, contro i quali l’opposizione paventa di sollevare conflitto di attribuzione davanti alla Corte. «La legge di Bilancio è una legge chiave per il funzionamento dello Stato. È impossibile che una democrazia non presupponga tempi adeguati di discussione», ha ricordato. E ha sottolineato: «In passato abbiamo chiesto che fossero rispettate le procedure della democrazia rappresentativa, tanto più sul Bilancio». Ha aggiunto che «ogni singolo parlamentare può ricorrere» ma ha spiegato che la Corte potrà intervenire solo in presenza di «violazioni così alte» da tradursi in uno «svuotamento dello status di parlamentare». Poi ha respinto le critiche alla Consulta per la sentenza sui permessi premio ai mafiosi che Matteo Salvini ha definito «disgustosa». Si sono «veicolate menzogne», ha detto. Inaccettabili come il «vilipendio delle istituzioni».
Non ha dimenticato di esprimere preoccupazione per i 10 mila detenuti in più rispetto alla capienza delle carceri: «Occorre intervenire immediatamente. Il sovraffollamento rasenta un trattamento contrario al senso di uma-nità».
Il ritratto di Giovanni Bianconi
«Se dieci anni fa qualcuno mi avesse annunciato ciò che è accaduto oggi mi sarei fatta una risata, perché non era minimamente immaginabile che avrei potuto trovarmi qui», dice Marta Cartabia subito dopo l’elezione a presidente della Corte costituzionale. La prima donna, la presidente che si augura di esser «un’apripista» e indica una strada alle donne nell’ambito della famiglia, del lavoro, delle cariche pubbliche: «Possiamo essere fiere del cammino fatto, che però è ancora incompiuto». E con un po’ di emozione ricorda che «nella mia storia personale, i modelli femminili sono stati decisivi, a cominciare da mia madre». È riuscita sentirla solo a sera, e l’ex insegnante ormai anziana le ha detto «sono fiera di te», confidandole il dispiacere per non aver potuto essere presente al palazzo della Consulta «in un momento così importante per la nostra famiglia e per l’Italia».
Genitori, fratello, marito e figli non sono stati un peso bensì una spinta in più per la donna di 56 anni, appassionata di scalate in montagna, trekking e musica moderna, che prima di approdare alla Corte nel 2011 (vicepresidente dal 2014) ha insegnato Diritto costituzionale nelle università italiane e straniere, di qua e di là dell’Oceano, e nel 2010 è emigrata per un anno negli Usa per lavorare alla New York University, portando con sé i tre ragazzi che allora avevano 15, 10 e 8 anni. Difficoltà e sacrifici che hanno liberato altre risorse, e che oggi le fanno dire: «Ci vuole fiducia e tenacia, perché certi momenti sono difficili e duri, fisicamente faticosi al punto di farci chiedere a volte “ma chi ce lo fa fare?”. Invece per me sono stati ingredienti decisivi perché accadesse quello che è accaduto».
Il segreto
Ci vuole fiducia e tenacia perché certi momenti sono difficili e duri, fisicamente faticosi
Alla famiglia s’è aggiunta la formazione cattolica, che per la neo-presidente è un altro valore. Come la matrice culturale di ciascun componente della Corte: «Tutti noi abbiamo una formazione, chi cattolica, chi laica, chi politicamente di destra e chi di sinistra, di uomo o di donna, di una generazione o dell’altra. E quando entriamo in camera di consiglio ogni giudice porta con sé il proprio vissuto, la propria esperienza, le proprie idee. Tutto questo è una ricchezza, non un problema, per la Corte di uno Stato laico che esprime una “laicità positiva”, come scritto in una recente sentenza: non indifferente ma equidistante dalle religioni, per tutelare un valore riconosciuto a tutti».
Il fatto di essere un «consesso così variegato», per Cartabia è un ulteriore garanzia di «neutralità della Corte, frutto proprio della molteplicità dei punti vista». Non a caso tra le figure femminili «decisive» nel cammino giunto fino alla scranno più alto al palazzo della Consulta, «la professoressa», come la chiamano i suoi collaboratori, annovera Eleanor Roosevelt, la moglie del presidente degli Stati Uniti che nel secondo dopoguerra giocò un ruolo fondamentale nella stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948; proprio riunendo nel suo salotto personalità dalle più diverse culture e orientamenti. Un confronto tra opinioni differenti per arrivare al miglior risultato possibile, costruito tenendo conto delle singole convinzioni, che la neo-presidente conta di applicare all’interno della Corte, in continuità con quanto ha costruito in quasi due anni dal predecessore, Giorgio Lattanzi. E torna utile per respingere sul nascere le polemiche del Gay center, che considera la nomina di Cartabia «un rischio per i diritti degli omosessuali». Citando una dichiarazione su Costituzione e matrimoni tra persone dello stesso sesso utilizzata dalla «professoressa», non per esprimere la propria posizione bensì per sintetizzare una pronuncia della Corte del 2010, quando lei ancora non ne faceva parte.
«Il dibattito pubblico — ricorda Cartabia — può essere critico o adesivo ma deve sempre partire dai dati di fatto. Le informazioni distorte, o i commenti che prescindono da ciò che veramente si è deciso o detto, avviano dibattiti malati. Riportarsi alla verità dei fatti, per dare vita a un confronto serio, è un’urgenza del nostro tempo, che riguarda la Corte e tutte le istituzioni». Comprese quelle politiche, quando se la prendono con le decisioni della Consulta: «Si critica un atto e si discute nel merito, ma travolgere un’istituzione con il vilipendio non fa bene a nessuno. Nemmeno all’autore della critica».