il Fatto Quotidiano, 12 dicembre 2019
Ventiquattro ritratti di signore geniali raccontate da Odifreddi
È passata alla storia per aver girato la prima scena di nudo integrale al cinema (Estasi, 1933), ma il suo contributo all’umanità è stato soprattutto un altro: aver inventato il salto di frequenza sfruttato oggi da Gps e telefonini, wi-fi e Bluethooth. Hedy Lamarr, sex symbol e scienziata, è una delle “top model alternative” raccontate da Piergiorgio Odifreddi ne Il genio delle donne. Breve storia della scienza al femminile, una storia spesso obliata e bistrattata: basti pensare che dal 1901 al 2019 le vincitrici del Nobel sono state 20 contro 594 vincitori.
Abile affabulatore dal gusto aneddotico e luciferino, Odifreddi sbozza 24 ritratti di signora per “un pubblico senza distinzioni di genere. Semmai, con qualche distinzione di cervello”: matematiche, chimiche, fisiche, astronome, astronaute e persino una santa in odor di schizofrenia, Ildegarda di Bingen. La cernita va da Ipazia (IV-V secolo) a Maryam Mirzakhani, la prima donna – e finora l’unica – a vincere nel 2014 una medaglia Fields, entrambe eretiche: la pagana fu ammazzata dagli integralisti cristiani, mentre l’iraniana fuggì nella più liberale America, infischiandosene di ayatollah e hijab.
Nel castello di Cirey trovarono, invece, rifugio il filosofo François-Marie Arouet e la matematica Émilie de Breteuil, meglio noti come Voltaire e la marchesa di Châtelet: il padre l’aveva avviata allo studio delle scienze, tanto da farne “la più colta delle donne, ma la più frivola delle colte”. Fu studiosa di fisica, traduttrice di Newton, appassionata di Cartesio e Leibniz; Voltaire la lasciò per correre dietro a una nipote, salvo poi piangerla da morta: addio a “un grand’uomo con l’unico difetto di essere donna”. Bersagliata per il suo aspetto e temperamento fu anche Emmy Noether, ribattezzata “il padre dell’algebra moderna”; di lei i colleghi serpeggiavano: “È una grande matematica, ma non sappiamo se sia una donna”. Fu Hilbert a volerla in cattedra perché “l’università non è un bagno pubblico, dove le femmine vanno separate dai maschi”. A Gottinga, il tempio dei numeri del 900, ci restò poco, però: dopo il 1933, cacciati gli ebrei, “non ci fu più nessuna matematica”.
“La prima vera matematica”, vissuta tra 700 e 800, fu Sophie Germain, per anni camuffatasi sotto pseudonimi maschili: fu amica di penna di Gauss, sodale di Lagrange e amante (della congettura) di Fermat; a lei sono intestate una equazione e un particolare gruppo di numeri primi, oggi usati nella crittografia. La prima informatica fu, invece, l’unica figlia legittima di Lord Byron, passata alla storia col cognome del marito (d’altronde il padre non si occupò mai di lei): Ada Lovelace, programmatrice ante litteram, elaborò il primo algoritmo per computer della storia. Ada ereditò l’estro scientifico dalla madre, Annabella Milbanke, mentre il padre-poeta a Cambridge “aveva goduto dell’esenzione dagli esami di matematica concessa ai nobili, considerati tonti di default”. Viceversa, la moglie di Einstein Mileva Maric si sentì per tutta la vita solo “l’ostrica di una perla”. Alla faccia di Byron tenere insieme scienza e poesia è possibile: ci pensò, ad esempio, Sonja Kovalevskaja, amica di Dostoevskij e George Eliot, nonché prima donna a ottenere un dottorato in matematica nel 1874 e prima europea a salire in cattedra a Stoccolma nel 1889. La sua passione per i numeri sbocciò nell’infanzia, quando il padre le tappezzò le pareti della cameretta con alcune dispense di analisi.
Tra i nomi più noti c’è la dinastia dei Curie, che conquistò ben sei Nobel in 62 anni: tre i genitori (Pierre e Marie, la pioniera della radioattività), uno la figlia maggiore Irène e due i generi (Frédéric Joliot e Henry Richardson Labouisse, ma per la Pace). Sfilano poi la “Curie tedesca” Lise Meitner; le calcolatrici Henrietta Leavitt e Katherine Johnson; la biologa Barbara McClintock, Nobel per la Medicina nel 1983 come Rita Levi-Montalcini nel 1986.
Non mancano, infine, le insospettabili scienziate: Margaret Thatcher, allieva della più famosa biochimica Dorothy Hodgkin; Rosalind Franklin, prima “fotografa” del Dna; la fisica cinese Chien-Shiung Wu e la compatriota medico Tu Youyou; l’astronoma Jocelyn Bell; le proto-astronaute Christa McAuliffe e Judith Resnik; la virologa Ilaria Capua, vittima in patria – l’orribile Italia – di una caccia alla streghe infondata e diffamatoria; la scacchista Judit Polgár, che beffò persino Kasparov e Fischer, grandi misogini, piccoli uomini, per cui “le donne non dovrebbero impicciarsi di cose intellettuali: meglio che stiano a casa, a fare le pulizie”. Sennò poi c’è il rischio che vincano a scacchi.