Il Sole 24 Ore, 11 dicembre 2019
Sono arabi amici del governo l’80% dei compratoti Aramco
Doveva essere l’Ipo del secolo, in grado di mettere Saudi Aramco al centro della scena internazionale dell’Oil & Gas. Ma il debutto in Borsa del gigante del petrolio saudita – per quanto di successo – resterà una vicenda locale. Oltre l’80% delle azioni azioni collocate da Riad è infatti finito in mano a investitori sauditi, in buona parte legati al governo.
La notizia è emersa alla vigilia della quotazione della compagnia sul Tadawul, il listino di Riad: un evento che il principe ereditario Mohammed Bin Salman sognava dal 2016, quando aveva descritto l’Ipo come la chiave di volta del progetto Vision 2030, destinato a diversificare l’economia saudita, attenuandone la dipendenza dal petrolio. All’epoca l’ambizione era collocare il 5% del capitale di Aramco, non solo in patria ma anche in una grande piazza finanziaria internazionale, spuntando una valutazione di 2mila miliardi di dollari.
Il piano è stato drasticamente ridimensionato. Londra e New York sono uscite (forse definitivamente) di scena, così come qualsiasi altra borsa straniera. E sul Tadawul viene collocato oggi soltanto l’1,5% della compagnia, anche se nei prossimi 30 giorni è probabile che si salirà fino all’1,7%, visto che almeno in parte sarà esercitata la greenshoe, che consente di incrementare fino al 15% il numero di azioni in vendita.
Comunque vada, l’Ipo si è già guadagnata una menzione nel Guinness dei primati. Con 25,6 miliardi di dollari – o addirittura 29,4 miliardi, inclusa la greenshoe – Aramco ha battuto il record della cinese Alibaba, che nel 2014 aveva raccolto 25 miliardi New York). La compagnia riesce anche a diventare la prima al mondo per capitalizzazione, con ben 1.700 miliardi di dollari all’esordio in Borsa: meno degli obiettivi iniziali, ma molto più di Apple, oggi sul trono con un valore di circa 1.200 miliardi.
Al traguardo dei 2mila miliardi desiderato dalla casa reale si arriverà «nel giro di qualche mese», ha assicurato venerdì scorso il ministro dell’Energia Abdulaziz Bin Salman, a margine del vertice Opec, pur ammettendo che alla fine l’Ipo è stato un affare riservato «alla famiglia e agli amici».
Che l’Ipo non avesse convinto gli investitori stranieri era evidente da tempo. Gli asset manager internazionali, secondo Bernstein, attribuiscono in media un valore di 1.260 miliardi di dollari alla compagnia saudita. E proprio sul prezzo del collocamento Riad era arrivata alla rottura con gli advisor americani ed europei, decidendo di cancellare il roadshow in Occidente.
Le statistiche finali sull’operazione, diffusi ieri dai bookrunner locali Samba Financial e National Commercial Bank, mettono in evidenza il flop in modo davvero impietoso. La tranche riservata agli investitori istituzionali (circa 2 miliardi di azioni, pari all’1% di Aramco) è stata sottoscritta oltre sei volte, ma ad acquistare sono state per il 13,2% istituzioni governative saudite, tra cui l’ente statale per le pensioni, che hanno speso a questo scopo 2,3 miliardi di dollari. Un altro 37,5% della tranche è andato in mano a società private saudite e il 26,3% a fondi di investimento locali (o comunque autorizzati a livello locale).
Gli investitori istituzionali non sauditi sono invece appena il 23,1%, molto probabilmente in gran parte provenienti dall’area del Golfo Persico. Quanto alle azioni destinate al pubblico retail (lo 0,5% del capitale) erano disponibili solo ai cittadini del regno: con una corsa in extremis alla sottoscrizioni, la domanda alla fine è stata pari a 4,6 volte l’offerta. Hanno comprato 5,1 milioni di residenti, su una popolazione totale di 20 milioni.