Varie, 11 dicembre 2019
In morte di Davide Vannoni
Marco Imarisio per il Corriere
Quella di Stamina e del suo creatore Davide Vannoni, scomparso ieri all’età di 52 anni, è stata una storia terribile. Perché impastava il dolore e la malattia con la credulità.
Quando ci fu l’inchiesta sulla corsia preferenziale della quale il «metodo» aveva goduto presso alcuni istituti quel metodo così empirico, furono indagati tre dirigenti degli Spedali civili di Brescia. La notizia venne commentata con articoli che ipotizzavano la corruzione o chissà quali vantaggi. La verità era un’altra. Quelle tre persone avevano un marito, un cognato, un fratello, colpiti da malattie terribili. Per questo avevano facilitato le pratiche per la somministrazione di cellule staminali da parte del servizio pubblico. Non erano corrotti, erano disperati.
Davide Vannoni, non ha mai dato segni di disperazione, neppure di tensione, anche quando la sua presunta terapia venne bocciata dal comitato di esperti scelto dal ministero della Salute, e poi passata al setaccio dalla magistratura. Patteggiò un anno e dieci mesi di reclusione a patto di non provarci più, promessa che si guardò bene dal mantenere. Comunque, sempre calmo, serafico. I giornalisti scrivevano i contenuti delle accuse nei suoi confronti, pubblicavano pareri scientifici che demolivano le sue tesi, passi di sentenze che gli davano del «ciarlatano». Lui riceveva tutti, amici e nemici, nella sua villa di Revigliasca, fuori Torino. Una casa sontuosa, arredata con oggetti indiani e africani. Sosteneva di non curarsi dei giudici e di volare alto, verso l’essenza della vita. «E adesso, se permette, vado fare la mia ora di meditazione yoga», diceva spesso. Era intriso di filosofie orientali ma non disdegnava i piaceri terreni. Gli piacevano le auto di lusso, si era regalato una Porsche intestandola alla società che deteneva «diritti esclusivi mondiali» del metodo Vannoni, così come la «licenza esclusiva» per la diffusione della terapia con staminali, ma nella quale lui non figurava.
Una volta chi scrive sentì l’obbligo di chiedergli se giocasse a poker, perché tutta la sua opera era ispirata alla nobile arte del bluff, fingere di avere più di quel che si possiede, fingere di sapere più di quel che si conosce. Rispose che non sapeva neppure giocare a briscola. Anche qui, chissà se diceva la verità. Ogni tanto si faceva fotografare in camice bianco nei suoi misteriosi laboratori. I suoi tifosi, tanti, anche sobillati da una discutibile campagna televisiva di sostegno operata da «Le Iene», lo chiamavano professore. Tecnicamente non era neppure sbagliato, perché nel 2006 aveva ottenuto una cattedra a Udine, ma in Psicologia della comunicazione.
Era nato a Torino nel 1967. Aveva studiato Scienze delle Comunicazioni a Torino con uno dei padri di quel nuovo corso di laurea, il semiologo Gian Paolo Caprettini. Appena fuori dall’università pubblicò due volumi sui meccanismi di funzionamento della pubblicità. Si propose come autore al Mulino, che lo rifiutò con una lettera nella quale si alludeva all’assenza di materiale originale nelle sue pubblicazioni. Vannoni si buttò allora nel marketing e nelle ricerche di mercato. Fu in quel campo che apprese tutto quel che c’era da sapere sulle tecniche di propaganda poi applicate con Stamina.
Nel 2001 pubblicò per Utet un «Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva» che è il manifesto del suo metodo. Nel capitolo sulla esperienza emozionale che lui considerava «un elemento imprescindibile e spesso prevalente nell’elaborazione di qualunque forma di comunicazione persuasiva», sosteneva che la funzione più importante, anche in medicina, è quella del testimonial, tanto più efficace se ha provato lui stesso l’esperienza o la cura che vuole proporre agli altri. A rileggerlo oggi, è inevitabile provare pietà. Per lui, scomparso ancora giovane. Ma soprattutto per le migliaia di persone che gli hanno creduto.
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Ottavia Giustetti per la Repubblica
Era gravemente ammalato ma aveva rinunciato a curarsi. Firmando le proprie dimissioni, a ottobre, Davide Vannoni ha lasciato l’ospedale Mauriziano dove era ricoverato, forse avendo perso del tutto la fiducia nelle terapie ufficiali. Il guru del metodo Stamina, accusato di essere uno stregone e un venditore di fumo, è morto a 52 anni ieri mattina, a Torino, per un’infezione fulminante. Lontano dal clamore che ha accompagnato per molti anni la sua vita. Lo aspettavano in tribunale a Roma per il processo Stamina bis nel quale era imputato per truffa e associazione a delinquere, dopo un primo patteggiamento nel 2014. La procura di Torino si era accorta che continuava a curare i bambini e per farlo li portava in Georgia. «A un certo punto era diventata per lui una specie di religione», racconta adesso Mario Andolina, il medico che per molti anni gli è rimasto a fianco. Era l’uomo operativo, perché Vannoni non aveva alcuna qualifica in ambito medico. Ha portato avanti la sperimentazione agli Spedali Civili di Brescia fino a che gli è stato possibile. Anche quando era girato il vento, e tutti li accusavano di iniettare, nei corpi dei piccoli pazienti malati terminali, fiale di acqua fresca al costo di 50 mila euro. «Io ci credo ancora. Resto convinto che la cura a base di staminali sia il futuro, solo in Italia la speranza è morta» dice Andolina. «Quante volte sono andato a chiudermi in bagno per farmi prima io l’inizezione – racconta – ed essere certo che non facesse danni».Andolina non è più medico nel nostro Paese. Ma i tribunali di mezza Italia fino al 2014 lo hanno nominato commissario degli ospedali che rifiutavano ai pazienti le terapie compassionevoli di Stamina. «Con Davide non ci sentivamo da otto anni – dice –. Glielo avevo predetto che sarebbe morto per un problema al cuore, era troppo coinvolto e sotto stress». Elena Pepe, la nonna di una piccola paziente commenta così la notizia della morte di Vannoni. «Sono rimasta malissimo, ora faranno come con la cura Di Bella: verrà riconosciuto il metodo Stamina ad honorem». Invece no. Non sarà la sua morte a riscrivere la storia del metodo importato dall’Ucraina con il quale si era curato lo stesso Vannoni da una paralisi facciale. La comunità scientifica ha emesso la sua sentenza da tempo. «Non ha certo giovato alla reputazione dell’Italia nel campo dei farmaci e della ricerca» dice il fondatore dell’Istituto Mario Negri, Silvio Garattini. E Roberto Burioni, virologo dell’Università San Raffaele di Milano: «È stata una vergogna la somministrazione di questo metodo negli ospedali pubblici». Eccolo il grande equivoco che per anni ha diviso politica, accademia e giudici. «Furono 250 i tribunali che ordinarono ai medici di somministrare la cura Stamina, altrettanti quelli che lo vietarono» ricorda l’ex pm, Raffaele Guariniello, il primo che ha incriminato Vannoni, sollevando il velo su quella che l’allora ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, definisce: «La prima grande fake scientifica dopo Di Bella».