Avvenire, 11 dicembre 2019
L’export del calcio italiano
Pacchetto viaggio una settimana a New York, inclusi tour statua della Libertà, Empire State Building e biglietto per la finale di Champions League. Una proposta del genere potrebbe diventare realtà nel 2024, quando l’atto conclusivo del torneo più importante d’Europa potrebbe giocarsi negli Usa. Team Marketing Ag, l’agenzia che cura gli interessi commerciali della Uefa, starebbe sondando il terreno per misurare – in milioni dollari – l’interesse del mercato americano. Solo voci, per il momento, che fanno storcere il naso a molti tifosi. Ma il calcio è ormai diventato un business globale e l’Europa, che offre il “prodotto” di gran lunga migliore, sta pensando seriamente di partire alla conquista di nuovi, danarosi fan, con buona pace degli appassionati di lungo corso ma dalle tasche meno piene. Gli esempi da seguire non mancano e arrivano, come vedremo, principalmente da altri sport. Anche se il calcio, da diversi anni, si sta muovendo proprio nella direzione che potrebbe portare l’inno della Champions a precedere The Star Spangled Banner, l’inno nazionale Usa. Nel 2019 la Uefa si è portata avanti scegliendo Baku per la finale di Europa League. Vero, l’Azerbaijan è calcisticamente parte dell’Europa, ma provate a dirlo ai tifosi di Chelsea e Arsenal che hanno affrontato una trasferta di quattromila chilometri e senza voli diretti. Un anno prima, invece, era stata la Comnebol, il corrispettivo sudamericano dell’Uefa, a costringere River Plate e Boca Juniors a giocare la finale di ritorno della Coppa Libertadores a Madrid dopo i gravi disordini che avevano preceduto la partita del Monumental di Buenos Aires. Fino al 2004 le squadre vincitrici di Champions League (già Coppa dei Campioni) e Libertadores si giocavano la Coppa Inter- continentale e il titolo di club più forte al mondo. Dopo le eroiche sfide di andata e ritorno degli anni ’60 e ’70, l’Intercontinentale venne rilanciata dalla Toyota che a suon di yen portò la finale in Giappone a uso e consumo dei tifosi locali mentre, in Europa, chi poteva seguiva la partita in tv in stile “Fantozzi”. Dal 2005 la Fifa ha trasformato la Coppa Intecontinentale in Coppa del Mondo per Club, ma la sostanza non è cambiata molto: partite giocate in frontiere che il calcio moderno sogna di conquistare prima possibile come Cina (nel 2021), Emirati Arabi e Qatar. Frontiere che la Fifa in realtà corteggia da anni con la sua arma più importante – la Coppa del Mondo che dal 1994 in poi è stata giocata in paesi considerati dai puristi calcisticamente poco evoluti come Usa, Giappone e Corea del Sud andando a rompere il tradizionale rimpallo tra Europa e Centro-Sud America. Nel frattempo anche le federazioni nazionali si stanno muovendo per portare le squadre fuori dai confini nazionali. I tifosi italiani sono ormai abituati alle finali di Supercoppa giocate in luoghi esotici, con una preferenza particolare, negli ultimi tempi, per l’Arabia Saudita vedi la finale di Supercoppa italiana Juventus-Lazio il 22 dicembre (ore 17,45) si gioca nella capitale, Riyad. Ma ora la Lega vorrebbe fare il passo decisivo portando la Serie A, un paio di volte
all’anno, fuori dall’Italia. Tuttavia, come già accaduto ad altre federazioni che cullano questa idea da anni come Spagna e Inghilterra, il progetto deve fare i conti con i divieti imposti dalla Fifa. La stessa ricchissima Premier League, che nei primi anni Duemila lanciò “Game 39”, un turno in più da far giocare all’estero, ha dovuto ripiegare in quella che oggi è l’International Champions Cup, una serie di amichevoli pre-campionato tra blasonate squadre europee in giro per il mondo. Ma in questo particolare campo – esportare il prodotto sport all’estero senza curarsi troppo delle reazioni dei tifosi – il calcio può imparare molto da altri sport, a cominciare dal ciclismo. Il Giro d’Italia, non senza polemiche, ormai ogni due anni parte dall’estero: nel 2018 da Gerusalemme, nel 2020 toccherà a Budapest, Ungheria. Lo schema, seguito in passato anche dal Tour de France, prevede alcune tappe in trasferta prima del rientro della carovana in Italia dopo ottimi incassi e nuovi tifosi conquistati.
Ovviamente in tema di business le leghe professionistiche americane sono molto più avanti rispetto a quelle nostrane, e da tempo sono partite alla conquista del Vecchio Mondo. Per esempio la Nfl di football dal 2007 gioca alcune partite della regular season a Londra e Città del Messico e sta lavorando per trasferire nella capitale britannica, dal 2025, i Jaguars di Jacksonville, posseduti dal magnate pakistano Shahid Khan, proprietario anche del Fulham. Nel 1984 Phoenix Suns e New Jersey Nets si affrontarono nel Palazzetto dello Sport di Milano (crollato l’anno successivo per eccesso di neve e sostituito dal PalaSharp) in una delle tante partite di pre-season organizzate all’estero dall’Nba. Negli ultimi anni, inoltre, almeno un paio di partite della stagione regolare vengono giocate in paesi come Giappone, Messico, Inghilterra e Francia. Ultima arrivata la Major League Baseball, che ha inaugurato gli Mlb London Games con quattro partite “vere” da giocare a Londra tra il 2019 e il 2020. Impossibile, infine, non menzionare il pugilato tra gli sport da esportazione. Due incontri su tutti consegnati alla storia: Ali/ Foreman 1974 a Kinshasa, nell’allora Zaire, Ali/Frazier 1975 a Manila, quattro americani impegnati su ring a migliaia di chilometri da casa. Match leggendari al punto da meritarsi un titolo: The rumble in the jungle il primo, Thrilla in Manila il secondo, entrambi vinti da The Greatest. Prima di arrivare alla “bella” nelle Filippine, Ali e Frazier incrociarono i guantoni due volte a New York, proprio la città che nel 2024 potrebbe ospitare la finale di Champions League. Anche se difficilmente si giocherà al Madison Square Garden.