Il Messaggero, 11 dicembre 2019
La questione libica si può risolvere solo sul campo
In Libia si è creata una situazione terribile perché la pace non è più possibile. Il generale Haftar è giunto alla conclusione che la Libia sia unificabile soltanto con la forza e non intende dialogare per nessun motivo. Dal momento che Haftar è debolissimo, molti si domandano chi gli fornisca la forza con cui cinge d’assedio Tripoli e che gli ha consentito di rifiutare tutti gli inviti al dialogo dell’Italia. Haftar riceve armi e soldi da Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, è la Russia il Paese che sta spostando gli equilibri in suo favore.
Putin sta utilizzando in Libia una strategia simile a quella già impiegata in Ucraina dell’est. Non potendo inviare soldati in uniforme, lascia che il lavoro venga svolto dai mercenari russi. Siccome nessun russo potrebbe mai combattere dove a Putin non piaccia, è chiara la ragione per cui il debole Haftar è diventato forte: i suoi protettori sono troppo potenti.
In questa situazione, l’Italia non può niente. La diplomazia è l’unica arma del governo Conte, ma gli inviti a sedersi intorno a un tavolo sono inutili con chi vuole rovesciarlo. Quanto all’Europa, è un gigante senza testa. Non è mai esistita una strategia dell’Unione Europea in Libia e non nascerà di certo a Natale.
Gli Stati Uniti potrebbero porre fine alla guerra di Haftar, ma Trump non ha alcuna intenzione di intervenire, sia perché ha sempre affermato che la Libia non è importante per gli interessi americani, sia perché si è già impegnato a sostenere l’avanzata di Haftar dietro richiesta del presidente dell’Egitto e del re dell’Arabia Saudita, suoi grandi amici, oltre che partner strategici contro l’Iran.
L’idea che Trump cambi linea, perché una nuova conferenza internazionale gli fa sapere che la situazione a Tripoli è tragica, non tiene conto di ciò che è appena accaduto nel nord della Siria: Trump ha abbandonato i curdi, i quali avevano combattuto al fianco degli americani contro l’Isis. Figuriamoci se possa sostenere i combattenti di Tripoli, dai quali non ha ricevuto niente. Contro Haftar resta soltanto la Turchia, l’unico Stato che stia fornendo al governo di Tripoli le armi per non capitolare. La domanda che tutti si pongono è: che cosa accadrà? La risposta è semplice. In Libia possono accadere soltanto tre cose.
La prima è che la guerra di Haftar finisca per esaurimento delle risorse. Molte guerre terminano, oppure si afflosciano, perché non ci sono più stipendi, benzina e munizioni. Ma questo non può accadere in Libia giacché Haftar riceve risorse in abbondanza. La seconda è che qualcuno s’impegni in un grande sforzo diplomatico, come sta facendo l’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamé, il quale annuncia una nuova conferenza a Berlino. Anche in questo caso, gli sforzi sarebbero vani. Gli inviti a deporre le armi sono inutili con chi ama la guerra e pensa pure che gli convenga.
La terza cosa che può accadere è che Haftar si fermi perché Tripoli gli infligge molte perdite, ma questo richiederebbe il riconoscimento del ruolo della Turchia e un’escalation del conflitto, a cui nessun Paese europeo è pronto.
A parlar chiaro si fa prima: la situazione in Libia non è più una situazione da conferenze internazionali, ma da rapporti di forza sul campo. O Haftar sarà respinto oppure prenderà Tripoli. Una volta chiarito che in Libia è in corso una guerra che non terminerà fino a quando Haftar non avrà vinto, occorre che l’Italia prenda una decisione. Se Haftar non può essere scacciato, allora l’Italia deve ritirare l’appoggio al governo di Tripoli e trattare con Haftar le condizioni della sua vittoria.
In teoria, la guerra finirebbe più velocemente, risparmiando molte vite; in pratica, potrebbe diventare più cruenta. La Turchia, che è in pessimi rapporti con l’Egitto, non accetterebbe una capitolazione improvvisa e, senza contropartita, valuterebbe un maggiore coinvolgimento nel conflitto. Per chiarire l’asprezza dei rapporti, basti sapere che Erdogan appartiene alla Fratellanza Musulmana, la quale è ritenuta un’organizzazione terroristica dai protettori di Haftar e cioè Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
La questione è complessa. Prima di abbracciare Haftar, l’Italia dovrebbe accordarsi con la Turchia, la cui importanza a Tripoli potrebbe essere ignorata soltanto da una mente priva di senno. Quale statista europeo lascerebbe cadere la Libia nelle mani di chi lo reputa un terrorista? Né Conte, né Macron. Perché si pretende che Erdogan sia diverso?