Corriere della Sera, 11 dicembre 2019
Aung San Suu Kyi. tra porcessi e campagna elettorale
Poteva restarsene a casa, non comparire al Tribunale internazionale dell’Aia, evitare la gogna mediatica e la vergogna di «difendere l’indifendibile», ovvero la condotta dei generali birmani che l’Onu accusa del tentato genocidio della minoranza Rohingya in Myanmar (un tempo chiamata Birmania), almeno 10 mila morti e 700 mila rifugiati che vivono in condizioni disperate in campi di raccolta nel vicino Bangladesh.Poteva nascondersi, ma ha scelto di metterci la faccia e la voce come leader del governo nazionale: oggi Aung San Suu Kyi parlerà davanti ai giudici. Dirà verosimilmente quello che ha già sostenuto altrove, in circostanze meno importanti: che la situazione nel Paese portato all’indipendenza dalla Gran Bretagna da suo padre è complessa, che i problemi sono tanti e che non c’è stata nessuna persecuzione della minoranza musulmana. Non rischia niente, non è alla sbarra, eppure è come se lo fosse. Domani si conclude la prima parte, i primi tre giorni di un procedimento giudiziario che potrà durare anni. E quella che ormai solo in patria è conosciuta come Daw Suu, la Signora, The Lady, a 74 anni ha dilapidato un patrimonio di grazia e nobiltà costruito silenziosamente nel tempo. Decenni di prigionia e arresti domiciliari, in una vecchia villa in riva al lago, quando i generali le aprivano la porta per spedirla in esilio e lei sceglieva di restare: «A singing girl in an open cage», come scrissero gli U2 nella canzone Walk On a lei dedicata, un uccello in una gabbia aperta «che avrebbe volato solamente per la libertà».
Domani volerà di nuovo a casa e troverà la vaschetta della sua popolarità più colma, la schiera degli adulatori più fitta: i birmani, o bamar, che costituiscono il 70% della popolazione, in maggioranza detestano i Rohingiya, considerati invasori bengalesi. Ma dimenticando gli orrori del 2017, si potrebbe quasi ammirare se non altro la spavalderia di questo suo viaggio, se non ci fossero – il prossimo novembre – le elezioni in Myanmar. Ecco il motivo. La leader della Lega Nazionale per la Democrazia è volata in Olanda non per un gesto di libertà, ma per aprire la campagna elettorale, per accrescere i sostegni. Una leader nazionalista piccola piccola, una gabbia desolatamente vuota.