la Repubblica, 11 dicembre 2019
Peter Handke il Nobel senza pace
Satko Mujagic aveva tredici anni quando la soldataglia serba stupró in massa e sterminò 3200 persone, quasi tutti a Pozarec, il villaggio (multietnico sotto Tito) dove egli era nato. Ieri era in piazza qui a Stoccolma, prima a Hötorget davanti alla Konserthuset, palazzo della cerimonia, poi alla manifestazione a Norrmalmstorget poco distante. La consegna del premio Nobel per la letteratura a Peter Handke, lo scrittore austriaco sempre schieratosi con Milosevic, ha riportato i ricordi delle atrocità piú orrende d’Europa dopo la disfatta del Terzo Reich qui nello splendido centro di Stoccolma, addobbato a festa per Natale, col sole gelido a cinque gradi sotto zero. E come mai prima, l’Accademia svedese e la stessa Casa Reale, tra le piú stimate del mondo, hanno sentito il dolore di crepe profonde nel loro volto pubblico. Crepe forse insanabili.«Niente Nobel per chi diffonde e difende fake news», «nessun onore ai negazionisti», «oggi onori al complice Handke, domani a quale altro ultrà razzista?». Slogan e striscioni dell’onda lunga della protesta che ha pacificamente invaso Stoccolma hanno richiamato Svezia, Europa e mondo al dovere del rispetto della verità e della Memoria delle vittime. E la protesta dei bosniaci è diventata virale in rete su tutto il mondo, appoggiata dalle critiche durissime al Nobel per Handke espresse dalla regina delle ex corrispondenti di guerra, la grande Christiane Amanpour. Non solo governi di paesi ex yugoslavi (e per suo tornaconto il premier autocrate turco Recep Tayyip Erdogan) hanno boicottato e condannato la cerimonia. Ben altre ombre pesavano in queste ore a Stoccolma presidiata dalla polizia in allarme rosso, mentre la Belgrado ufficiale celebrava sfacciata ma sola, e qui a fatica signore in pelliccia e gentiluomini in frac, arrivando a piedi o su Volvo nere, cercavano di entrare alla Konserthuset. «Io non posso dimenticare, mio padre convinse la soldataglia a risparmiare almeno me. Da 13enne prigioniero fui portato nel campo di sterminio serbo di Omarska, ero incaricato di lavare ogni giorno il sangue dalla “casa bianca”, la palazzina di stupri di gruppo e torture. Quegli incubi mi tormentano ancora ogni notte. Chi premia oggi Handke apre le porte a tutti i negazionisti, da Irving al massacratore Breivik. Handke dovrebbe chiedere scusa e non è capace di farlo. Dovrebbe fare e appoggiare una resa dei conti col passato, come quella dei tedeschi che Angela Merkel ha ricordato e dichiarato eterna visitando Auschwitz. Invece si chiude in un silenzio arrogante e negando il genocidio incoraggia ogni voglia di odio etnico, fascista o nazista che possa essere. Handke premiato risveglia i piú letali mostri e fantasmi dell’anima collettiva europea».La cerimonia inizia lentamente, con Re Carlo XVI Gustavo e la regina Sylvia piegati dall’imbarazzo. Non a caso il protocollo svedese ha fatto il minimo possibile – ma nulla di piú, criticano i media – ponendo alla cena di gala Handke lontano da loro e l’altra vincitrice, la polacca Olga Tokarczuk, a un passo dal loro tavolo. Non a caso re e regina sono arrivati prima con la vecchia Daimler Sovereign 16cilindri, e dopo, quel massimo di secondi dopo consentito dal protocollo e sufficiente a indicare dissenso, è giunta la Audi S8 blindata della principessa ereditaria Viktoria col suo consorte commoner. «Viktoria è appena andata in visita a Srebrenica, il luogo del genocidio negato da Handke, la sua posizione è chiara, non si mischia né coi vertici dell’Accademia né col padre», mi dice un’altra bosniaca sopravvissuta a torture e stupri, Jasna Causevic, che con ragazze tedesche innalza davanti al palazzo delle cerimonie lo striscione della ong di Berlino “Società per i popoli minacciati”. «Handke meriterebbe un processo al tribunale dell’Aja per aver venduto come al diavolo la sua dignità d’intellettuale al regime genocida di Milosevic, e non ha mai voluto risponderci», mi dice. «Non ha la spina dorsale per assumersi le responsabilità che da negazionista di genocidi si è dato da solo». Adnan Mahmutovic, una star della letteratura bosniaca ed ex yugoslava, è l’anima organizzativa e ideatrice delle proteste. «Speriamo che ci ascoltino», dice alla folla a Norrmalmstorg, «un’istituzione come il Nobel non può coprire le colpe davanti alle vittime di persone come Handke. Se sceglie di farlo, sceglie di coprire l’idea di genocidio. Come ci mostra il caso della Shoah, Male Assoluto, che non è solo un orrido evento criminale. È anche un processo storico la cui ultima fase è la negazione spudorata che sia avvenuto». La protesta non è rimasta inascoltata. L’altro giorno Peter Englund, letterato e tra i massimi membri dell’Accademia, l’ha lasciata sbattendo la porta per condannare il premio a Peter Handke. I massimi media cartacei, online e radiotelevisivi della Svezia – paese- guida di quel Nord Europa che sa dare al mondo sorprese come le donne al potere a Helsinki – rilanciano a ogni edizione notizie delle contestazioni e degli attacchi più duri ad Accademia e Casa reale. Ma l’antica ambiguità di fondo dell’anima svedese, col caso Handke, si è risvegliata. Persino quelle colpe nella neutralità benevola verso i nazisti tra il ’39 e il ’45, che nel lontano 1991 furono denunciate dalla storica e scrittrice Maria- Pia Boethius in Heder och Samvete, Onore e coscienza, tornano attuali.