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 2019  dicembre 10 Martedì calendario

La dura vita del traduttore

“Bisogna lavorare tutti i giorni, tante cartelle per questo e quello e quell’altro, fino a far pari, anche la domenica. Se ti ammali non hai mutua, paghi medico e medicina lira su lira, e per di più non sei in grado di produrre, e ti trovi doppiamente sotto”. Quasi sessant’anni dalla Vita agra di Luciano Bianciardi e poco è cambiato. Le condizioni in cui il traduttore editoriale opera oggi in Italia sono ancora quelle degli anni Cinquanta. Siamo insomma braccianti intellettuali, mal pagati e privi di tutele sociali nell’ambito sia della salute che della previdenza.
La traduzione editoriale nel nostro Paese è riconosciuta dalla legge come opera d’ingegno, ma contrariamente a quanto avviene in molti altri Paesi d’Europa, come Olanda, Svizzera, Francia e Germania, noi non percepiamo percentuali sulle vendite dei nostri libri, salvo rarissime eccezioni. Eppure il traduttore è di fatto l’autore dell’opera che i lettori di altre lingue comprano, leggono, amano e citano.
In Italia, dove peraltro i fatturati dell’editoria son ben più modesti che in Francia, perché ben più modesta è la percentuale dei lettori, salvo rare eccezioni, ai traduttori viene corrisposto un compenso a cartella di 2000 battute, che soltanto nel migliore dei casi supera i 18 euro lordi, partendo spesso da cifre invereconde; la media per un traduttore di lungo corso si aggira sui 15/16 euro. In Francia o Germania, invece, i nostri omologhi guadagnano tra i 20 e i 30 euro a cartella da 1600/1800 battute e, se il reddito supera una soglia da cui si evince che la traduzione per loro è un mestiere e non un simpatico hobby, godono di contributi versati dallo Stato in apposite casse per gli artisti. In più possono scaricare le spese, compresi i libri acquistati per diletto, perché tutto – letteralmente tutto – per un traduttore può diventare materia di studio.
Quello del traduttore è un mestiere che non si improvvisa. Tradurre significa accumulare decenni d’esperienza, in ambiti che possono spaziare dalla narrativa alla saggistica. Significa avere la responsabilità di dare voce a grandi autori. La traduzione è in parte una battaglia da cui si esce quasi sempre vincitori, ma anche un po’ (consapevolmente) sconfitti. Per esempio, nel caso di Simenon – di cui sono una delle voci italiane – le difficoltà sono paradossalmente quelle dovute all’apparente semplicità della scrittura: il ritmo, la scansione del testo idiosincratico, la punteggiatura e l’alternanza dei tempi verbali, le stesse scelte lessicali, tese a creare in modo sensoriale la famosa “atmosfera” simenoniana, le “mots-matières”, parole semplici ma precisissime ed evocative, capaci di rendere in modo netto un odore, una luce, un’espressione del volto. Impossibile trasportarle in un’altra lingua se non si hanno le stesse doti che deve avere uno scrittore: una spiccata sensibilità linguistica e una grande padronanza della scrittura.
Ho una formazione umanistica, appartengo a una generazione di traduttori che si è formata con la pratica quotidiana, cominciando a tradurre “senza rete”, ossia senza una preparazione specifica, ma con ottime basi culturali e linguistiche.
Negli ultimi anni sono nati moltissimi corsi, master e scuole di traduzione letteraria ed editoriale, ma il nostro resta un mestiere che non si impara in poche ore di laboratorio, così come un diploma o un master non garantiscono la maturità del traduttore, che nel corso della carriera deve invece seguire, come ogni professionista, una formazione continua.
In questa direzione va, ad esempio, “Laboratorio italiano”, programma interamente finanziato e dedicato ai traduttori madrelingua italiani, inaugurata dalla Casa dei traduttori Looren di Zurigo. Su questo piano, la Svizzera coltiva infatti la sua terza lingua nazionale molto più di quanto non faccia l’Italia, dove nel pubblico come nel privato è quasi impossibile reperire fondi con cui sostenere programmi di formazione continua a medio-lungo termine. Oltralpe sono comunque tante le esperienze virtuose. Strade, il sindacato dei traduttori editoriali, da anni è impegnato a farle approdare anche in Italia.
Quello che le istituzioni devono capire è che la traduzione non va considerata soltanto il prodotto di un’industria culturale: la traduzione è una risorsa e uno strumento fondamentale per la circolazione delle culture e dei sistemi di pensiero contro l’appiattimento e l’omologazione, un modo per salvaguardare le diverse identità culturali e insieme metterle in dialogo, aprire gli orizzonti a mondi diversi. La lingua dell’Europa è la traduzione, ricordava Umberto Eco. E mai come in questo momento l’Europa ha bisogno della traduzione e dei traduttori per riposizionarsi nel circuito dei grandi flussi di culture e popoli che da sempre l’hanno attraversata. Sostenere la traduzione è sostenere un’idea di futuro e non può non riguardare un investimento politico e una responsabilità istituzionale.