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 2019  dicembre 10 Martedì calendario

Prima metto e poi tolgo le tasse. Una girandola di annunci seguiti da ritrattazioni

L’altro ieri la maggioranza che sostiene il governo di Giuseppe Conte ha deciso una stretta con cui fare cassa sull’Imu per la prima casa, perché si sostiene che gli italiani fanno i furbetti per non pagare con residenze fittizie. Dopo sole 24 ore il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha annunciato che la toglierà. È stato un record di velocità, però il grottesco esempio è solo l’ultimo di una lunghissima serie che si è verificata in questi mesi. Conte è angosciato dall’immagine del suo esecutivo che con questa manovra 2020 è apparso ai più un gruppo di tassatori nemmeno troppo cortesi. Così, qualche giorno fa, Conte ha fatto filtrare da palazzo Chigi la sua fantasiosa rampogna ai ministri: «Non possiamo sembrare tassatori, leviamo quelle tassette che abbiamo messo che ci sporcano l’immagine. Così possiamo dire che siamo quelli che abbiamo messo soldi nelle tasche degli italiani».Nemmeno un cent è finito nella tasca degli italiani, a dire il vero, perché è solo un gioco di prestigio: prima mettono nuove tasse, poi le tolgono, e nemmeno tutte. Restano tassatori, ma da tre mesi fanno il lavoro dei tassisti: trasportano dossier pieni di tasse da inserire nella manovra e poi fanno retromarcia portandone un po’ indietro. Se la cantano e se la suonano, come se gli italiani non fossero capaci di capire: «Abbiamo tolto un fracco di tasse!». Ma benedetti rossogialli: quelle tasse non esistevano prima, le avete messe voi e poi tolte. Mai tutte: quella sulla plastica e sulle bibite zuccherate non esisteva, avrebbe mandato ko un fracco di imprese, e doveva scattare ad aprile. Poi è stata fatta retromarcia, la tassa è diventata meno pesante e scatterà da luglio: ma prima non c’era, e nessuno ha tolto proprio nulla.
Stessa cosa è accaduta con l’Iva: «Abbiamo tolto 23 miliardi di tasse!», gridano di tanto in tanto Conte e Gualtieri. Quando il primo gennaio gli italiani capiranno che non è stato tolto un solo centesimo, e che continueranno a pagare la stessa Iva che era loro chiesta il 31 dicembre, partirà il vaffa per la colossale presa in giro. E quelli diranno: «Però sarebbero aumentate, per colpa di Matteo Salvini! E noi l’abbiamo evitato». Sarà così, ma le tasse restano quelle di prima. E l’aumento dell’Iva non è affatto il conto del Papeete, come viene detto oggi, mentendo. È stato deciso otto mesi prima dei mojito dal governo gialloverde. Salvini lì era ministro dell’interno, e contava relativamente sulla legge di bilancio. Ma capo del governo che ne portava tutta la responsabilità era Conte, lo stesso che oggi vorrebbe sentirsi ringraziare per avere tolto gli aumenti Iva che proprio lui aveva messo.
Anche il Pd ha poco da gloriarsi, perché gli aumenti Iva sono come la filastrocca Alla Fiera dell’Est. Li ha tolti Conte al Conte che li aveva messi che però li aveva tolti l’anno prima a Paolo Gentiloni che li aveva messi e l’anno prima li aveva tolti a Matteo Renzi che li aveva messi, ma prima li aveva tolti un paio di anni a se stesso che li aveva pure messi, e prima ancora li aveva tolti a Enrico Letta che li aveva messi, ma tolti a Mario Monti che li aveva messi e pure tolti a Silvio Berlusconi, il primo ad averli messi. Tutti prestigiatori. La sola cosa che non sanno fare sparire sono le vere tasse che tolgono soldi alle tasche degli italiani. E che quest’anno saranno più dell’anno precedente.