la Repubblica, 10 dicembre 2019
Sulla verifica di governo. Il commento di Folli
Come è normale per chi non ha altri appigli, il presidente del Consiglio si aggrappa alla “verifica” della maggioranza nella speranza legittima di guadagnare tempo. L’espressione, purtroppo per lui, rimanda ai tipici scenari di pre-crisi conosciuti in passato: quando c’è da “verificarla” vuol dire quasi sempre che la coalizione si sta sfaldando. Del resto, persino chi ha proposto questo passaggio, in primo luogo Goffredo Bettini, esponente del Pd di sicura sensibilità politica, non nasconde lo scetticismo. Come dire: tentiamo quest’ultima carta prima di rassegnarci alla fine. Intanto occorre che il governo conduca in porto la legge di Bilancio, il che accadrà attraverso l’ingessatura del maxi emendamento: un metodo certo non nuovo e senz’altro spregiudicato che annichilisce il Parlamento. Quel Parlamento peraltro già sforbiciato un po’ a casaccio al di fuori di ogni coerenza riformatrice.Già domani tuttavia si delinea l’insidia del voto sul “fondo salva-Stati”, il Mes.Soprattutto al Senato i numeri sono esigui, qualcuno teme insufficienti. In realtà il testo della risoluzione dovrebbe passare per il rotto della cuffia, ciò che da un lato aiuterebbe Conte ad arrivare ai primi di gennaio, quando comincerà un’altra delicata partita politica.Dall’altro lato, una settimana di polemiche intorno al nuovo meccanismo europeo ha dimostrato a sufficienza quanto sia sfilacciato il tessuto connettivo di un’alleanza che non è d’accordo nemmeno su come stare nell’Unione.Consideriamo dunque, ipotesi probabile che lo stato dei rapporti tra Zingaretti, Di Maio e Renzi sia esaminato non prima di gennaio. Non esiste alcuna ragionevole certezza che si trovi per incanto la coesione mancata finora. Esempio tipico: un mese fa si sarebbe detto che almeno sulla durata della legislatura l’ex segretario del Pd rappresentava un punto fermo. Ma ora lo scenario è cambiato e l’irrequieto senatore di Rignano si è trasformato in ulteriore fattore destabilizzante in grado di contribuire a una rapida deriva verso le elezioni. Le ragioni sono di ordine sia politico sia soprattutto psicologico. In ogni caso pesa l’insuccesso di Italia Viva, il partito personale che doveva far rivivere in Italia la cavalcata verso il potere del francese Macron. La verità è assai più amara. Lo studio di Ilvo Diamanti pubblicato domenica dimostra che nella battaglia alla ricerca del consenso il partito renziano occupa una posizione abbastanza marginale.Dimostra inoltre che nessun partito – salvo i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni – sta consolidando le sue radici. Anzi. Lo stesso Salvini dà l’idea di aver esaurito la sua capacità di espansione: segno che l’incapacità di rinnovare il repertorio e di proporre un angolo visuale meno scontato comincia a suscitare qualche perplessità nell’elettore simpatizzante ma non militante. Nel complesso il quadro è bloccato: tutti hanno la loro porzione di consenso, nessuno sembra in grado di andare oltre per creare un’egemonia. Ma proprio questa condizione mette a rischio la legislatura.Non riuscendo a creare una massa critica in stile Macron, non stupirebbe che fosse proprio Renzi a provocare la crisi del governo Conte in gennaio (senza nemmeno tener conto di come andranno le cose in Emilia Romagna).Elezioni a breve, magari con qualche forma di legge proporzionale, salverebbe qualcosa in termini di seggi di un progetto nato male.