la Repubblica, 10 dicembre 2019
Intervista a Marco D’Amore
Ciro L’Immortale ha un’altra vita: in sala. Il film sull’antieroe di Gomorra diretto e interpretato da Marco D’amore ha incassato 2 milioni e 816 mila euro nei primi quattro giorni. Il miglior debutto per un crime, secondo solo alla commedia Il giorno più bello del mondo di Alessandro Siani (2 milioni e 900mila). È riuscita l’operazione ardita di raccontare al cinema il personaggio uscito di scena nella terza stagione, le cui vicende sul grande schermo cambieranno le sorti della quinta, su Sky nel 2021. «Va molto oltre le previsioni – dice D’amore – non solo economiche».Ha detto che “L’ìmmortale” è un atto d’amore verso il cinema.«Sono cresciuto e sono stato educato alla frequentazione della sala. Volevo costruire un evento che richiamasse chi sta comodo in salotto davanti alla tv. Due anni fa l’ho fatto a teatro. Mi dicevano “i ragazzini vengono per vedere Ciro”, rispondevo “poi magari ci torneranno a prescindere da me”.Ho pensato a un film che potesse raggiungere anche chi era fuori dalla comunità di Gomorra, ma non avevo certezze».Tra il pubblico c’è anchi chi non ha visto la serie?«Tanti hanno scritto “ho sempre osteggiato la serie ma al cinema mi sono ricreduto”. Hanno trovato un prodotto dignitoso, non abbiamo preso in giro il pubblico dandogli due puntate di Gomorra. I soldi sono soldi, non compri i biglietti se non ne vale la pena. C’è chi ha visto il film tre volte».Su Twitter ha scritto: “A volte sarebbe meglio non parlare, ma questa socialità ha senso quando si condividono emozioni e bellezza”.“Quando parli rischi di essere equivocato. Temevo che la mia felicità fosse scambiata per vanità.Penso che una comunità virtuale ha senso quando ci si scambia bellezza, siamo già pieni di brutture».Ha un larghissimo seguito social.«L’ho costruito con fatica: non sbandiero ricchezze, famiglia, viaggi, cosa mangio, non mi mostro mentre faccio gli esercizi per i glutei. Parlo di libri, cinema, teatro. Chi c’ha voglia di rompere i coglioni non s’accosta».Qualche critica l’ha ferito?«Sì. Ci sono stati dissensi preventivi “volete fare i soldi su Napoli”, o “non c’è bisogno di questa storia”. Rispetto tutti. È la mia prima volta, avrebbero potuto essere più clementi ma ci sta.Se c’è il consenso del pubblico, il resto scivola».Cosa ha dato il film a Ciro e a lei?“A Ciro spero abbia regalato una dignità di essere umano. Chiunque, anche alle prese con le scelte più sbagliate, ha una possibilità di cambiamento. Noi non la concediamo al personaggio e non se la concede Ciro. Ma l’aver raccontato il suo passato è un omaggio alla gioventù del presente, all’attenzione che bisognerebbe avere verso i più giovani, regalare possibilità anche in quartieri dove i ragazzini hanno smesso di sognare e dire che ci sono altre vite possibili. Il film è stata l’affermazione di ciò che sento da tempo: raccontare le mie storie.Difficile adesso tornare indietro».Nel film c’è un incontro con Salvatore Esposito.“Ci sentiamo tutti i giorni, soffre di non essere qui. Nel momento in cui siamo insieme sullo schermo, in sala scatta l’applauso, da Brescia a Gela, da Bolzano a Salerno».Ci doveva essere, Salvatore.«Era fondamentale. Quello tra loro, fratelli e nemici, è il rapporto fondante in tutta Gomorra. Non poteva esserci Ciro senza Genny».A chi dedica questo momento?«Alle donne della mia vita: madre, sorella, la nonna che mi ha cresciuto, la mia ragazza, le nipoti. A mio padre e mio fratello per i film che vedevamo insieme di notte da bambini. A Napoli per tutte le luci e tutte le ombre».