il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2019
Eva Cantarella racconta l’origine delle discriminazioni
Molti lettori conoscono Eva Cantarella, docente universitaria (in Italia e negli Stati Uniti) popolare narratrice della letteratura classica e del mito greco, il cui pregio più grande, oltre la scrittura, è la capacità di collegare le ansie e paure sociali del presente ai grandi riferimenti del passato. In questo suo libro appena uscito (Gli inganni di Pandora, Feltrinelli editore) Cantarella si pone due obiettivi che sono tipici della sua esplorazione del passato.
Uno è narrare Pandora, che, proprio per essere (il nome) un frammento notissimo e senza contesto della mitologia greca potrebbe essere citato (“Il vaso di Pandora”) persino da Salvini in qualunque momento. E l’altro è usare la narrazione di un mitico passato remoto per spiegare il presente, ovvero le radici profonde, tuttora vivissime, del pregiudizio che continua a pesare sulle donne indipendentemente dal valore e dalla qualità di vita e opere di ciascuna. Infatti il sottotitolo della nuova opera di Cantarella è “L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica”.
Cantarella invita i lettori a seguirla nel tempo storico, nell’ambientazione culturale e nel contesto quotidiano della vita della Grecia classica, su cui vuole la nostra attenzione, per rendere più facile, per chi la segue, l’insolito progetto che sviluppa nel libro. L’autrice ci dice (e dice soprattutto alle lettrici donne) che, in questo caso così radicato e antico, la spiegazione non è politica e non è filosofica. La spiegazione è medica. E così diventano co-protagonisti importanti Ippocrate, Esiodo e scuole e nomi che di solito vengono usati e citati nella conversazione scientifica e filosofica. Il punto originale e del tutto nuovo di questo percorso è nell’avere montato, come scene da film, tre passaggi per arrivare al punto.
Il primo è la mitologia, un mondo di potenti e stravaganti figure in cui il maschio (molto più di Adamo nei primi giorni dell’Eden) è l’unico dominatore. Il secondo è il mettere in luce, molto più di quanto sia stato fatto dalle narrazioni maschili del mito greco, la stravaganza, prepotente e imbarazzata, dei maschi dell’Olimpo verso le femmine. Cantarella ci racconta collezioni di episodi e di storie che ci dimostrano una sorta di invidia rovesciata, non quella femminile verso il pene, proposta da Freud, ma quella maschile del parto, ovvero del fatto che solo una donna può dare vita. Al punto che Zeus si dà da fare per partorire Atena dalla sua testa. La terza è il non sapere e il non poter “vedere” il corpo delle donne.
In una fase storica in cui l’autopsia non è concepibile, e il corpo può essere esplorato solo da vivo, il chirurgo conosce, curando le ferite (spesso profonde) almeno una parte del corpo del maschio. Ma della femmina non sa nulla. Nulla dei suoi organi riproduttivi. Qui si situa il mistero e il fastidio (che dura nei secoli e attraverso le religioni) del sangue mestruale delle donne e del tipico “mettere ordine” maschile nell’universo femminile conosciuto poco e male: di qua le mogli e madri, sempre in casa, dedite al dovere e solo per questo protette. Di la le donne che potranno servire al piacere, sempre al servizio di uomini che usano e gettano persone “diverse” e (in casa o fuori) quasi sconosciute. Ecco perché il libro di Cantarella, che pure sono solo 85 pagine, diventerà una strenna di Natale.