il Giornale, 9 dicembre 2019
Il Cile brucia da 51 giorni: «Rubati i testi di Neruda»
San Paolo In Cile, dove oramai gli incendi si contano a migliaia a latere delle proteste tutt’altro che pacifiche che sconvolgono da 51 giorni il paese, dopo il palazzo dell’Enel di Santiago è stata inghiottita dalle fiamme anche la storica Casa Italia di Viña del Mar, già sede anche del nostro consolato. Le famiglie degli emigranti italiani si riunivano proprio in questo edificio, dichiarato patrimonio nazionale, per fare feste, celebrare matrimoni, organizzare mostre di arte da quando, nel 1966, fu acquistata dalla nostra comunità. Da qualche anno era stata però occupata da antagonisti e da «punkabbestia». E così, quello che per decenni era stato un simbolo dell’Italia in Cile, è andato distrutto: crollato il tetto al pari del secondo piano. «Stiamo verificando se ci siano vittime visto che forse c’era all’interno un gruppo di «okupa» (così chiamano chi occupa abusivamente immobili in Cile, ndr), spiegava ieri sera a Radio Biobio, Gonzalo Román, il capo dei pompieri di Viña. Probabilmente doloso, oggi resta la certezza che la triste fine di Casa Italia si aggiunge alla lista sterminata di roghi appiccati a moltissimi edifici storici durante le «manifestazioni pacifiche» da black block e piromani, quasi come se la cultura e le radici di una nazione fossero nemici da abbattere. A dimostrazione di ciò, sempre ieri è stato denunciato il furto di 27 libri della collezione del poeta e premio Nobel, Pablo Neruda. Sono libri del ’600 e del ’700 (un’opera di Kircher Athanasius del 1667, due di Michael de Montaigne del 1724) oltre a molte prime edizioni che il grande poeta raccolse durante la sua vita e che conservava gelosamente. Durante l’assalto con successiva occupazione illegale dell’Universidad de Chile (il primo ateneo della repubblica cilena, in pieno centro di Santiago) gli «studenti» hanno forzato la porta della collezione Neruda, l’hanno vandalizzata e sottratto le 27 opere che, secondo le stime, valgono sul mercato nero decine di migliaia di euro. La denuncia è stata fatta solo ieri perché, sino a giovedì, l’Università del Cile era «okkupata» dagli studenti-ladri.
Giovani molto simili agli «antifa» statunitensi, come dimostrano anche le tante statue degli eroi dell’indipendenza cilena danneggiate o la decina di chiese patrimonio del Cile distrutte. Dalla cattedrale di Puerto Montt a quella di Vera Cruz, costruita nel 1857, alla Chiesa di San Francesco a Curicó, altro patrimonio nazionale finito in cenere insieme alle immagini del Cristo in croce, esibite per strada dai «manifestanti» che, fossimo in Europa nessuno esiterebbe a definire black block della peggior specie. E che costoro abbiano in odio la cultura lo hanno dimostrato ieri anche a Guadalajara, in Messico, dove un gruppo di ragazze ha dato fuoco a una montagna di libri durante la locale fiera del libro, la più importante dell’America Latina, cantando l’inno dei Carabinieri cileni preso in prestito ormai dalle femministe di tutto il mondo.
Chi manifesta pacificamente in Cile c’è e chiede un lavoro e salari degni, peccato che la violenza ha ottenuto sinora il risultato opposto: 15.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura, 75.000 i lavoratori che perderanno il posto (le PMI da sole garantiscono il 50% dei posti di lavoro ed il 98% del totale delle aziende cilene) se i disordini non dovessero cessare seduta stante, cosa improbabile visto l’andazzo. Il presidente Sebastián Piñera ha promesso una nuova Costituzione, aumentando del 50% le pensioni ma ha solo il 10% di appoggio popolare mentre il PIL, ad ottobre, è crollato del 3,4%, il peggior risultato da quando esplose la crisi Usa dei subprime, nel 2008.