La Stampa, 9 dicembre 2019
Quando la musica fa davvero male
La musica fa molto bene allo spirito degli esseri umani, ma può fare molto male al loro fisico. Ne sanno qualcosa i musicisti delle orchestre operistiche e sinfoniche: mentre gli spettatori si godono il Lohengrin, loro nel golfo mistico soffrono a volte le pene dell’inferno, maledicendo Richard Wagner per avere composto opere interminabili, così piene di trémoli degli archi da garantire a chi li esegue una sicura tendinite.
La letteratura medica elenca decine di patologie legate all’uso professionale di strumenti musicali: compressioni nervose, tunnel carpale, artrosi, gomiti doloranti, malanni dovuti alle posture scorrette, ai gesti ripetitivi, alle lunghe sessioni prive di pause, agli ambienti di lavoro poco ergonomici. Se ne parlerà oggi a Torino, nel primo corso di aggiornamento organizzato dall’associazione Intempo, istituita proprio per aiutare a prevenire le patologie dei musicisti. Dalle ore 9, in via Rosmini 4, medici e specialisti terranno relazioni e forniranno consigli a chi vorrà partecipare: il convegno è gratuito e aperto anche ai dilettanti.
Ma quali sono le correlazioni tra le patologie dei professori d’orchestra e la musica che eseguono? Perché dopo un’opera di Wagner ci sente peggio che dopo una di Verdi? Esiste un disturbo di Mozart? È vero che Liszt può distruggere da solo le mani di un pianista? Ne abbiamo parlato con tre eccellenti musicisti dell’orchestra del Teatro Regio: il primo contrabbasso Davide Botto, il secondo contrabbasso Atos Canestrelli e il secondo violoncello Giulio Arpinati, ora in pensione, fondatori di Intempo. Tutti ce l’hanno un po’ con Wagner, considerato il compositore che meno si preoccupava delle conseguenze della sua musica su chi la deve eseguire.
«Alla fine dei Maestri Cantori – dice Canestrelli – ci si sente come dopo avere scaricato un camion di cemento. Ci sono state orchestre famose nelle quali i contrabbassi cominciavano in cinque e alla fine ne restava uno solo. Alcuni punti dello spartito sono completamente neri, tante note ci sono». “Sono i trémoli degli archi – aggiunge Botto – a portarti alla tendinite in breve tempo». «E la lunghezza – dice Arpinati -. Dopo il preludio uno pensa che ci vorrebbe l’intervallo, perché sei già esausto. Invece giri la pagina e c’è scritto Atto Primo». Il Lohengrin poi fa male agli occhi per quante note ci sono. Nella Marcia a volte i maestri d’orchestra fanno la staffetta: un pezzo lo fa il Primo leggìo, il seguito lo fa il Secondo leggìo. «E L’Oro del Reno? – si domanda Arpinati – quattro pagine di arpeggi in mibemolle maggiore per i violoncelli che raffigurano l’acqua, non finiscono più».
Se si vede un violinista piangere durante le Nozze di Figaro di Mozart, aggiunge Botto, non bisogna pensare che sia commosso dalla musica. «È il dolore, il dolore causato dalla necessità di unire agilità e forza, leggerezza e potenza, concetti opposti fra di loro. Per i secondi violini è anche peggio, con tutte quelle quartine ribattute». Mozart non è innocuo come sembra, così come Smetana, capace di causare un fuggi-fuggi generale quando è in cartellone. Verdi è più umano, ma solo se gli si perdonano le 5 ore della versione francese del Don Carlos, «roba da addormentarsi in buca» e i recitativi accompagnati che causano uno stress psicofisico notevole per la difficoltà di seguire i cantanti.
Ma i malanni del corpo non sono nulla in rapporto al principale problema: l’ansia da prestazione che coglie quasi tutti i musicisti chiamati a eseguire un assolo. «C’è il timore – dice Canestrelli – di sbagliare qualcosa, facendo fare brutta figura all’orchestra. Hai paura del giudizio dei tuoi colleghi e di rovinare il lavoro di tutti». Ci sono assoli, aggiungono Botto e Arpinati, nei quali si sente nella musica la mano che trema: capita a volte anche in pezzi semplici come il Fra Martino della Prima sinfonia di Mahler. «Una ricerca scientifica – rivela Botto – ha stabilito che la professione più stressante è il pilota d’aereo. Ma al secondo posto c’è il Primo corno dell’orchestra. Basta una piccola imperfezione nella posizione del labbro per portare all’errore. Si sono visti cornisti uscire in lacrime dalla buca dopo un disastro». E il pianoforte? Gli autori che fanno più danni alle articolazioni sono Liszt e Rachmaninov. Entrambi avevano mani molto grandi e non si sono mai preoccupati per il fatto che i loro brani avrebbero poi dovuto essere eseguiti da inadeguate e doloranti mani normali.
In tutte le più grandi orchestre del mondo si ricorre a tranquillanti e a betabloccanti che tengono sotto controllo il battito cardiaco e grandi interpreti come Yehudi Menuhin sono usciti dall’ansia di prestazione solo con lo yoga. Se non bastasse, ci sono i direttori d’orchestra a complicarti la vita con atteggiamenti spesso autoritari che aumentano l’agitazione. Ma l’idea che i musicisti possano soffrire di malattie professionali stenta in Italia a farsi strada, mentre bisognerebbe almeno cominciare a parlarne. —