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 2019  dicembre 09 Lunedì calendario

In tre milioni davanti alla tv per Tosca

E così la Tosca della prima ha fatto anche il record di ascolti tivù:2 milioni 856 mila 650 spettatori in tre ore, 22 minuti e 34 secondi di trasmissione, share del 15%. Rai Cultura e Scala cantano vittoria: non si è arrivati ai tre milioni, ma si è risaliti, superandole, alle vette della Butterfly del ’16 (due milioni e 644 mila). Dopo, era andata peggio: poco più di due milioni nel ’17 per Andrea Chénier, poco meno l’anno scorso per Attila. Insomma, Puccini è più pop, ma questo lo si sapeva. Finiamo di dare i numeri con le oltre 800 mila persone che hanno visto la diretta di Arte in Germania e Francia e, già che ci siamo, con l’incasso del botteghino: due milioni e 559 mila euro.

Date per dette tutte le banalità retoriche del caso, quant’è bella l’opera in tivù, e perché non se ne fa di più (Rai5, per la verità, la programma regolarmente), viva il servizio pubblico e così via, ci sarebbero un paio di considerazioni meno basiche da fare. La prima: l’opera in tivù è altra cosa rispetto all’opera in teatro e va valutata con criteri a sé. Io ero alla Scala e non so come sia stato il prodotto Rai, tutt’altro che scontato alla luce di celebri catastrofi del passato prossimo, come i massacri del Tristan di Chéreau o del Don Giovanni di Carsen. Però è inutile che i leonasini da tastiera, numerosissimi fra i melomani, strepitino perché conduceva la diretta Milly Carlucci che, come ha scritto ieri la Comazzi, «tratta Puccini come un concorrente di Ballando», qualsiasi cosa sia (intendo Ballando, non Puccini). Il melodramma non è più nazionalpopolare da un pezzo e si tratta quindi di portarlo a un pubblico cui dici Puccini e pensa sia Vittoria o cui è noto al massimo Bocelli. Della Rai si può pensare tutto il male possibile e anche di più, ma se per avvicinare tre milioni di persone a Puccini (Giacomo) serve la Carlucci, ben vengano la Carlucci e magari pure i nani e le ballerine.
Secondo: in tivù manca qualcuno che racconti non Tosca o Puccini, ma per quali ragioni Tosca e Puccini non sono reperti del passato, stinte figurine nell’album delle glorie nazionali, ma parti di noi ancora vive e vitali, irrinunciabili. A chi divulga l’opera, anche amandola molto, manca sempre un passaggio: la ricerca delle ragioni del presente nei capolavori del passato. Il guaio è che spesso manca anche ai teatri, che si chiudono da soli sotto una teca museale invece di confrontarsi con la contemporaneità. E invece fuori dal mausoleo c’è un mondo dove i milioni di interessati potrebbero essere non tre, ma trenta. Ma questo non è un problema della tivù né della Rai né della Carlucci: è un problema di chi l’opera la fa (e anche di chi ci va). —