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 2019  dicembre 09 Lunedì calendario

La mamma che ha ucciso la figlia disabile

La tavola in cucina già apparecchiata per la colazione di domenica. Sul comodino un foglio con poche parole: «Tranquilla, hai finito di tribolare». È stato il papà, Clemente Ronco, 87 anni, a trovare le donne distese sul letto della loro stanza. La figlia, uccisa a martellate. La moglie, incosciente, che aveva tentato di farla finita ingoiando le medicine che teneva in casa. Silvia, 42 anni, era affetta sin dalla nascita da una grave forma di disabilità. La madre, Maria Capello, classe 1934, è stata subito ricoverata in ospedale. La tragedia si è consumata nella notte tra sabato e domenica in una palazzina popolare. Periferia di Orbassano, a una manciata di chilometri da Torino. Sono state le urla dell’uomo a far accorrere i vicini di casa. «La mia bambina. La mia bambina». Un urlo straziante che fa accorrere i vicini. Il grido disperato di un padre che dopo quarant’anni di «tribolazioni» si accorge di aver perso tutto.
Silvia era cerebropatica, incapace di muoversi in autonomia, soggetta a crisi epilettiche. Quasi non parlava. I genitori, per 42 anni hanno sopportato tutto. Una vita diventata impossibile. Con il trascorrere del tempo che giorno dopo giorno rendeva tutto più difficile. E una mamma premurosa che alla fine non ha retto più: vedeva la sua creatura soffrire, lottare anche soltanto per fare due passi verso il bagno. E le ha tolto la vita per liberarla da quel fardello continuo. L’ha colpita alla testa più e più volte. Maria non voleva far andare via Silvia da sola: aveva pianificato anche il suo suicidio. Dormivano insieme in una stanza separata da quella del marito, una misura decisa da tempo per consentire un rapido intervento se la 42 enne avesse mai accusato qualche malessere durante il sonno. Dopo l’omicidio, l’anziana si è coricata di nuovo a fianco della figlia. Aspettava che il mix di farmaci facesse effetto, per lasciare una vita diventata troppo difficile insieme al suo bene più grande. I medici hanno escluso il pericolo di vita, ma la prognosi resta riservata.
I carabinieri, che hanno formalizzato la denuncia per omicidio nei suoi confronti, hanno poi accompagnato in caserma il marito della donna, stravolto dalla scena che aveva appena visto. E lui ha raccontato la sua esistenza passata dietro a Silvia. Una vita fatta di assistenza, cure, dolore e amore come solo due genitori possono provare a sopportare. Operaio Fiat in pensione, negli ultimi due mesi aveva dovuto affrontare anche la rottura del femore della moglie e una polmonite che aveva fortemente debilitato la figlia. Due situazioni che avevano aumentato le preoccupazioni sul loro futuro. Chi lo conosce, dice che tutto poggiava sulle sue spalle. Una famiglia riservata ed esempio di dignità, conosciuta da tutti nel condominio. Ogni giorno c’era chi dava una mano a quei genitori sempre più avanti con l’età. Si era creata una sorta di comunità silenziosa d’aiuto, comune a tante realtà di provincia.
«Quando ho sentito quell’urlo ho subito capito che era successo qualcosa di grave – spiega Giuliana, che abita nell’appartamento sopra quello della famiglia Ronco – Davamo una mano ogni volta che ce n’era bisogno. Anche solo per aiutarli a portare Silvia in bagno. Lei non riusciva nemmeno a muoversi da sola, aveva spesso crisi epilettiche e non parlava quasi mai». Da due mesi, mamma e papà avevano deciso di ricoverare Silvia a «Le Nuvole», una struttura specializzata di Collegno. La riportavano a casa nei fine settimana e il papà era solito preparare già dalla sera prima la tavola per la colazione. Gesti che tradiscono una disperata ricerca di normalità, in una vita che di normale non aveva nulla. Se non la sofferenza. —