La Stampa, 9 dicembre 2019
anche i cinesi guardano Taranto. Il piano B di Di Maio per l’Ilva
Il piano “B” del governo italiano per salvare e rilanciare la siderurgia italiana va avanti. E guarda sempre più a Oriente, alla Cina. Di fronte al comportamento altalenante del gruppo Arcelor Mittal e alla controversa gestione, della trattativa e degli impianti ex Ilva, da parte del neo amministratore delegato Lucia Morselli, a Roma non sono rimasti, una volta tanto, con le mani in mano. E si sono attrezzati per essere pronti a fare a meno del colosso franco-indiano, numero uno nella hit mondiale dell’acciaio. Per prima cosa il ministero dello Sviluppo economico si è affidato a un manager esperto come Francesco Caio, presidente di Saipem ed ex amministratore delegato di Poste, come superconsulente per condurre le trattative con Arcelor Mittal. Con un chiaro obiettivo: trasformare il suo incarico in commissario dell’Ilva se e quando il gruppo che fa capo alla famiglia Mittal uscirà di scena. Un modo per dire alla controparte che l’Italia non ha nessuna intenzione di chiudere Taranto, eventualità che invece non dispiacerebbe ad Arcelor Mittal, ingolosita dalla possibilità di eliminare un possibile concorrente da 8 milioni di tonnellate di produzione. Un segnale anche per la coriacea Morselli che non disdegnerebbe di trasformarsi da ad a commissario.
Il mandato per Caio, a quel punto, sarebbe di ristrutturare l’azienda, senza fare macelleria sociale, e di portare avanti il piano di risanamento ambientale di Taranto. Inevitabile utilizzare risorse pubbliche che prefigurano di fatto a una nazionalizzazione a tempo. Con l’obiettivo finale di trovare un nuovo soggetto privato a cui affidare gli impianti.
E qui entrano in gioco i cinesi, che complessivamente realizzano più del 50% della produzione mondiale, contano 6 aziende fra le prime dieci del mondo. All’indomani dell’annuncio choc della famiglia Mittal che annunciava 5 mila esuberi all’ex Ilva, con un dimezzamento della capacità produttiva di Taranto (a 4,5 milioni di tonnellate) il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, compagno di partito del titolare del Mise, Stefano Patuanelli, ha attivato un contatto istituzionale per contattare il governo cinese e sondare la disponibilità dei suoi colossi siderurgici a intervenire nell’Ilva. Il riscontro, secondo quanto risulta a La Stampa, sarebbe stato positivo. A una condizione: una significativa presenza dello Stato italiano o di una sua emanazione (Invitalia, ad esempio) nella compagine azionaria.
Nel 2000 la Cina produceva 128 milioni di tonnellate di acciaio, nel 2018 ne ha prodotte 928 milioni di tonnellate. Negli ultimi 8 anni la capacità installata, tutta con impianti nuovi e spesso all’avanguardia, è stata di 290 milioni di tonnellate. Avviata una fase di ristrutturazione imposta dal governo cinese per razionalizzare il settore e chiudere gli stabilimenti più impattanti dal punto di vista ambientale, da qualche anno le principali aziende hanno incominciato ad acquisire o realizzare impianti al di fuori del perimetro domestico. Con Taranto i cinesi entrerebbero nel cuore della siderurgia europea, al centro del Mediterraneo. Più che un concorrente, uno spauracchio per Arcelor Mittal.
Si dirà: la Ue non metterà il veto contro gli aiuti di Stato? Negli ultimi 15 anni l’Italia ha chiuso impianti per 6,6 milioni di capacità produttiva. Per mancanza di una regia governativa è stata “regalata” all’Europa una riduzione di capacità produttiva senza avere, come in passato (vedi la chiusura di Bagnoli), contropartite sul piano dell’autorizzazione di aiuti e, anzi, rischiando procedure di infrazione. Bene, Taranto ha una capacità installata di 10 milioni di tonnellate che nei piani del governo dovrebbe scendere a 8. Una volta chiarito il piano industriale per Taranto e considerando le chiusure effettuate fra il 2006 e il 2014, ci sarebbero le condizioni per proporre alla Commissione Europea un piano di ristrutturazione della siderurgia italiana nel suo complesso che, a fronte di chiusure di capacità produttiva, preveda la possibilità di incentivi, aiuti pubblici e finanziamenti per le attività di riconversione. —
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