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 2019  dicembre 09 Lunedì calendario

Tosca, breve storia di un trionfo


Il trionfo sfrenato alla Scala per l’inaugurazione della stagione era necessario: se la retorica lo consente, soprattutto per il Paese. Certo per il teatro, per la Tosca (Maria Goretti all’incontrario, pessimo esempio antimolestie), per l’adorato direttore Chailly, (malgrado i dubbi degli eruditi sul ripristino di note che lo stesso Puccini aveva disdegnato), per tutti i cantanti applauditi sino al gonfiarsi delle mani, e caso eccezionale perché solitamente i registi vengono fischiati, per il successo di Livermore e del suo movimentato palcoscenico.Ma soprattutto perché questo 7 dicembre, qui a Milano, qui nel teatro lirico più famoso al mondo, ha consentito a tutti, non solo a pochi, di riappropriarsi di una parola, un concetto, una identità da cui molti si erano sentiti espropriati: essere italiani. Che pareva proprietà esclusiva sia di chi del rifiuto della Nutella e forse tra un po’ del torrone ha fatto il suo manifesto politico, sia di chi sta difendendo eroicamente il presepe e il panettone senza che nessuno li abbia messi in pericolo. Perché tale oggi è il livello di una parte politica che curiosamente ha deciso di definirsi la sola rappresentante di quello che chiama il popolo italiano. Per distinguerlo da una vergognosa élite che non può definirsi italiana perché più o meno sapiente, tendente al democratico (definito falce e martello), europeista e non populista, non razzista né soprattutto fascista.Sabato il trionfo è stato davvero italiano, nel senso dell’Italia rispettata ovunque, tra l’altro con panettone servito negli intervalli per patriottismo meneghino, ai tanti golosoni in smoking, con briciole su crinoline e scollature.Italiano Puccini, italiano il luogo, Roma, dell’opera, italiani tutti i suoi esecutori e protagonisti, tranne la Tosca popputa di Anna Netrebko, russa, però sempre a cantare le opere italiane in tutto il mondo.Il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella in piedi nel palco centrale applaudito a lungo per poi applaudire lui l’inno dell’Italia assieme al pubblico che lo ha anche canticchiato. Un pubblico senza accenno di felpe, gli uomini in smoking di taglio italiano, le donne in abiti di stilisti italiani. La meravigliosa senatrice a vita Liliana Segre, esempio di grandezza italiana e, con signora, Mario Monti simbolo di un Italia rispettata, seduti in platea e poi invitati da Mattarella nel palco degli autorevoli; il presidente che poi con garbo italiano, si è trovato a dare la mano anche all’emozionato e inaspettato Domenico Dolce, gran nome della moda italiana. Quasi tre milioni in Italia, sazi di telegiornali e di quel angusto schermo inamovibile di facce dette politiche, hanno seguito l’opera in televisione, mezzo milione in Germania, quasi altrettanto in Francia.L’italianità della cultura e della borghesia cosiddetta illuminata, quella del denaro che produce lavoro e non necessariamente è cattivissima, e produce lavoro, della gioventù più o meno sardina che si impegna per esaltare la bellezza rara di ciò che è italiano, che si confronta col futuro del mondo senza chiudersi nei confini della paura, ha avuto la sua notte spettacolare: qui, in una città, Milano, che va avanti con speranza, e accetta il sindaco Sala e la sua giunta.Anche una serata per pochi facoltosi o musicomani sfrenati, felicemente seduti in teatro, e di molti appassionati o curiosi davanti alla televisione, è un messaggio di difesa dalla palude governativa, di rifiuto del quotidiano balbettio della insipiente politica nazionale.Del resto quale luogo è più adatto di Milano e della Scala per rilanciare la fede in un Italia migliore? Lo racconta la straordinaria mostra del museo teatrale dedicata alla vita dei suoi palchi, dove aristocrazia e denaro, cultura e politica, hanno segnato la nostra storia patria per 140 anni, dal 1778 agli anni ‘20 quando il Comune se li è ripresi: gli austriaci, poi i francesi, poi ancora gli austriaci, e infine il Risorgimento, le cinque giornate di Milano, quando gli spettacoli furono interrotti e nell’attuale via Verdi, che si chiamava contrada San Giuseppe, si fecero le barricate con gli attrezzi di scena, e Giuditta Pasta la prima Norma di Bellini, mise a disposizione dei ribelli il suo appartamento di via Monte Napoleone. Anni prima, nel 1824 i palchettisti si erano schierati contro la condanna a morte di Federico Confaloneri disertando il teatro per tre giorni.Aveva il palco la celebre patriota Cristina Belgioioso Trivulzio, e i rivoluzionari di allora si incontravano nei palchi delle grandi salonniére, oltre naturalmente i letterati, come Manzoni che nel foyer giocava d’azzardo, i musicisti come Verdi, i ritrattisti delle dame come Hayes. Forse ricordarsi che per quanto mondialisti si è pure italiani sarà certamente poco chic, ma pazienza: lo si è riscoperto alla Scala.