Corriere della Sera, 9 dicembre 2019
Le fragilità della Incontrada e D’Alessio
Correva l’anno 1999 e due eventi cruciali scuotevano il nostro paese alle soglie del fatidico ingresso negli anni 2000, più del temibile Millenium Bug, più della profezia Maya sulla fine del mondo: Gigi D’Alessio pubblicava «Portami con te», il primo disco in cui dismetteva il dialetto partenopeo per cantare in italiano, e la spagnola Vanessa Incontrada sbarcava da Barcellona nel Bel Paese, ancora ignara di essere destinata a diventare una star della tv, a suon di fiction e varietà.
Come non pensare a uno show di prima serata su Rai1 per celebrare la solenne ricorrenza? È arrivato «Vent’anni che siamo italiani», tre serate speciali condotte proprio da D’Alessio e Incontrada, dove testimonianze personali dei due dovrebbero intrecciarsi a riflessioni e racconti su un ventennio di storia (venerdì, 21.20).
È giusto che la Rai, nella sua missione di servizio pubblico, provi a trovare delle chiavi nuove, non solo da «tv culturale», ma capaci di strizzare l’occhio al pop, per mettere in scena e rielaborare la memoria condivisa (anche se le Teche fanno già da sole un ottimo lavoro). L’ultimo programma a esserci riuscito resta forse «Anima Mia». Nel caso di «Vent’anni che siamo italiani», fuori da ironia, raccontare una storia nazionale partendo da due pretesti così ombelicali pare onestamente uno spunto un po’ fragile, pur se declinato nelle chiavi dell’intrattenimento leggero.
Non basta la simpatia e la professionalità musicale di D’Alessio, non basta la brillante «normalità» di Vanessa Incontrada (con il toccante monologo sul body shaming, il bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone). Tenere fede a quella promessa significherebbe avere alle spalle ben altro pensiero autoriale, capace di andare oltre il classico modello dell’infilata di ospiti, spesso in promozione, che affiancano i due conduttori per sketch comici o momenti musicali. Accontentiamoci di definirlo un varietà.