Corriere della Sera, 9 dicembre 2019
Quei 700 milioni che la chiese deve investire
Da circa sei anni il Vaticano ha un capitale enorme congelato in un prestigioso palazzo a Chelsea, nel cuore di Londra. Si tratta di un investimento da 200 milioni di dollari, ed è una delle più grandi, ma anche controverse, operazioni finanziarie mai realizzate dalla Santa Sede. Tornando dal Giappone papa Francesco ha dichiarato che «è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro».
L’Obolo di San PietroI soldi provengono dalla cassa della Segreteria di Stato che gestisce l’Obolo di San Pietro, cioè le offerte che ogni 29 giugno dal profondo della comunità cattolica salgono fino al Papa. Anche se sempre meno. Dai 70-80 milioni del 2013 si è scesi a circa cinquanta milioni.
Non esiste una rendicontazione, ma la stima del patrimonio complessivo della Segreteria è intorno ai 700 milioni di euro, destinati a mantenere la macchina vaticana e ai più bisognosi. Denaro quindi da investire con un certo criterio morale e non in attività azzardate o speculative.
Si tratta di una parte rilevante del tesoro complessivo attribuibile alla Santa Sede e alla Città del Vaticano: undici miliardi, secondo le stime più recenti, di cui circa cinque in titoli e sei in immobili «non funzionali» all’attività istituzionale. Il patrimonio della Chiesa nel mondo è invece valutato oltre duemila miliardi, scuole, ospedali e università compresi.
2012: Angola e petrolioA gestire cassa e Obolo, dentro la Segreteria di Stato guidata dal 2013 da Pietro Parolin, è la Sezione Affari Generali, affidata dal 2011 al 2018 a monsignor Giovanni Angelo Becciu (oggi cardinale) e da ottobre del 2018 al venezuelano Edgar Peña Parra.
Tutto comincia nel 2012 dall’Angola, cioè il Paese africano nel quale Becciu per molti anni è stato nunzio apostolico. Un imprenditore locale suo amico, António Mosquito, gli propone di investire duecento milioni di dollari nella sua compagnia petrolifera Falcon Oil. Scelta rischiosa: si trattava di diventare soci di minoranza (5 per cento) nello sviluppo di una piattaforma petrolifera offshore. Dalle carte consultate dal Corriere della Sera, di quei duecento milioni 35 sarebbero andati direttamente a Mosquito per rimborsare un suo precedente prestito a Falcon Oil. «In un primo momento sembrava attraente, ma dopo uno studio approfondito la proposta non fu accolta». Parole di Becciu.
Spunta il finanziere MincioneA spiegare alla Segreteria che l’operazione non gira è l’allora semisconosciuto finanziere italiano, con base a Londra, Raffaele Mincione, che entra nella partita grazie al Credit Suisse, nei cui conti svizzeri confluisce l’Obolo. Il custode della cassa vaticana è un dirigente dell’istituto, Enrico Crasso, banchiere di riferimento della Santa Sede. «Gli ho detto – racconta Mincione —: volete raddoppiare i soldi? Vi propongo un mio palazzo nel centro di Londra».
L’immobile è al numero 60 di Sloane Avenue, già sede di Harrods. E gli uomini di chiesa affidano i duecento milioni al Fondo Athena, gestito da Mincione. Il fondo ha un solo cliente-sottoscrittore: il Vaticano.
L’immobile e le azioniA giugno del 2014 il Fondo Athena investe i soldi del Vaticano per comprare il 45% del palazzo, gravato anche da un mutuo di circa 120 milioni con Deutsche Bank. L’altro 55% Mincione lo investe in speculazioni di Borsa su Carige, Retelit e Tas. Il suo piano è riqualificare il palazzo e rivendere tutto a 600-700 milioni di sterline. Ma arriva la Brexit, la sterlina crolla e il Vaticano comincia a perdere tanti soldi.
Cambio di gestione della cassaSettembre 2018: il Fondo Athena in cinque anni ha perso oltre il 20 per cento. Nel frattempo a Roma monsignor Becciu è stato promosso cardinale. Al suo posto arriva Peña Parra e la strategia cambia. L’ordine è: «Smontare l’investimento nel fondo per prendere tutto il palazzo».
A chi si affidano in Vaticano per una manovra finanziaria di questo calibro? Non a una banca d’affari o a intermediari di primo piano. La scelta cade su Gianluigi Torzi, un broker molisano trapiantato a Londra, con qualche piccola pendenza penale e un paio di fallimenti societari in Italia, e con il quale Mincione in passato ha condiviso già altri affari.
Arriva il broker molisanoIl 23 novembre 2018 il palazzo passa da Mincione alla Gutt, una società lussemburghese amministrata da Torzi. Un minuto dopo la firma del contratto in Segreteria si accorgono di aver affidato tutti i poteri gestionali al broker che detiene soltanto lo 0,1%. Parte la trattativa per smontare l’accordo e convincere Torzi a farsi da parte. A maggio 2019 il palazzo di Londra finisce in una nuova società, la London 60, controllata al 100% dalla Segreteria di Stato Vaticana.
Quanto ha perso il VaticanoAlla fine di tutta la vicenda il Vaticano ha dovuto sborsare a Torzi dieci milioni, sedici milioni a Mincione per la gestione degli investimenti, più altri 44 per liquidare il fondo, e infine due milioni per consulenze. Nelle casse del Papa invece non è entrato un euro di guadagno. Il Pontefice ha parlato di «corruzione». E su questo sta indagando la magistratura vaticana.
Cinque persone sono finite sotto inchiesta: monsignor Mauro Carlino, il direttore dell’Aif (l’antiriciclaggio) Tommaso di Ruzza e tre dipendenti della Segreteria: Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi e Caterina Sansone. Intanto a Londra è in corso un progetto di ristrutturazione del palazzo. L’ha spiegato lo stesso papa Francesco, giorni fa: «Affittare e poi vendere».
Perché i soldi dell’Obolo, ha sottolineato, vanno investiti ma poi anche spesi. Senza imbrogliare.
Dalla Svizzera a MaltaMa dove sono gli altri fondi (centinaia di milioni) della Segreteria? Depositati presso il Credit Suisse. Ad occuparsene è il consulente di riferimento Enrico Crasso che nel 2014, lasciata la banca, si mette in proprio e si fa carico di investire i cinquecento milioni della Segreteria.
Lo fa per un paio d’anni attraverso la sua Sogenel Holding ma nel 2016 vende il «cliente» Vaticano – circostanza mai emersa prima – ad Az Swiss del gruppo Azimut, colosso della gestione del risparmio quotato in Borsa. Crasso, però, diventa contestualmente dirigente di Az Swiss, mantiene la gestione del mezzo miliardo e in più crea un Fondo tutto suo a Malta dove sposta altri cinquanta milioni della Segreteria. Si chiama Centurion e ha investito sei milioni nella società di occhiali di Lapo Elkann; circa dieci nella galassia Giochi Preziosi del patron del Genoa Calcio; altri 4,7 milioni per entrare nelle acque minerali (Cristallina Holding, Acqua Pejo e Goccia di Carnia); 1,2 milioni per una quota di minoranza del sito Abbassalebollette; 16 milioni per rilevare una sede italiana della multinazionale ABB; 4,3 milioni in bond per finanziare i film «Rocketman» sulla vita di Elton John e l’ultimo «Men in Black»; infine 4,5 milioni prestati a una piccola società di costruttori romani, la Bdm Costruzioni e Appalti.
Affari oculati? Non proprio. Nel 2018 il fondo Centurion ha perso il 4,61%. Ai manager, però, sono andati quasi due milioni di commissioni.