ItaliaOggi, 7 dicembre 2019
Un campeggio nelle Marche meridionali bloccato per 36 mesi dall’autorità giudiziaria senza motivi
Questa è la storia di un campeggio che non doveva morire: e infatti non è morto. Però non doveva neanche vivere, e infatti l’hanno lasciato in coma per tre anni. Il «Verde Mare camping» di Marina Palmense, zona turistica sud del Fermano, nelle Marche meridionali, fu posto sotto sequestro dal gip di Fermo nel 2016, a causa della permanenza fissa di circa 400 fra roulotte e camper, ciò che, secondo gli inquirenti, sostanziava un abuso bello e buono dato che i mezzi semoventi non solo non si muovevano affatto, ma anzi potevano funzionare come residenze stabili, ancorate in piazzuole di cemento ad hoc. In parcheggi, in poche parole. Bene.A distanza di tre anni, la magistratura giudicante ha sconfessato quella inquirente nel modo più perentorio: assoluzione per il titolare, Felice Chiesa, perché «il fatto non sussiste» e immediato dissequestro. Immediato, si fa per dire. Scontata, in ogni modo, la soddisfazione dell’interessato, insieme agli avvocati a tutela Francesco de Minicis e Savino Piattoni; ma scontata è anche l’amarezza per trentasei mesi che non dovevano, davvero non dovevano, andare perduti così. I legali della difesa avevano subito contestato la misura interdittiva, ottenendo un primo dissequestro contro il quale si era immediatamente opposta la Procura, che, a sua volta, aveva conseguito in Cassazione la revoca del dissequestro: solita storia di corsi e ricorsi all’italiana. Ma la misura, in verità, era parsa a molti sproporzionata tanto da originare un comitato per la riapertura di una realtà turistica che dava lavoro a svariate decine di occupati, e di conseguenza sostentamento ad altrettante famiglie, almeno per tutto il periodo estivo.
«Il fatto non sussiste», come l’ha valutato il giudice Mira Biondi Ciutti, accogliendo le tesi difensive e respingendo la richiesta definitiva di condanna e sequestro dal pm Francesca Perlini, è la formula più clamorosa: non dice che la situazione esisteva pur senza costituire reato, afferma che il fatto non sussisteva, non c’era: quei tre anni di blocco erano campati sul nulla, su un presupposto inesistente. Quanto a dire che la situazione dei mezzi parcheggiati sine die poteva facilmente venire risolta senza ricorrere a misure così drastiche. Né è questione tale da investire il solo campeggio: c’è tutto un microindotto attorno alla grande struttura ricettiva, fatto di stabilimenti, di ristoranti, di piccole botteghe, che inevitabilmente ha patito, a catena, i sigilli al Verde Mare, e qualcuno si è divertito, si fa sempre per dire, a calcolare il mancato gettito di tre estati nella misura del 25-30%. Che è abbastanza traumatica.
Di sicuro, il mancato esercizio ha impedito un giro da 2.500 ospiti al giorno, per non parlare dei 600 mila euro di emolumenti stagionali a chi ci lavorava. In un’area, il Fermano, che dovrebbe alimentarsi di turismo ma dove il turismo arranca da anni, non trova riscatto, perde appeal, è in emorragia di presenze e ogni chiusura, dall’albergo al camping al negozietto, lo impoverisce ulteriormente. Per cosa? In tanti, da questi parti, si sono disperati a lungo per un blocco imposto che pareva esagerato, se non immotivato, e sicuramente non saranno mancate le voci interessate, ma se poi una pronuncia certifica la fondatezza di quelle perplessità, se ammette che tanta severità era ingiustificata, a questo punto che succede?
Certo, la sconfessione delle accuse in giudizio fa parte della normale logica giudiziaria. Ma se l’inossidabile titolare del Verde Mare, Felice Chiesa, può esultare, non senza tristezza, «Mi hanno sempre chiesto come facessi a resistere, ma io ero qui e resterò qui, pronto a ripartire e non vedo l’ora», resta la sensazione di una sconfitta per tutti: struttura, turisti, indotto, comprensorio. E non tutti, poi, hanno la solidità finanziaria per assorbire tre anni di coma: da queste parti, quando una saracinesca si abbassa, è per sempre e difficilmente viene sostituita da qualcosa di nuovo. Molti, nel microindotto attorno al campeggio che non doveva morire, hanno stretto i denti pur di non morire anche loro. Qualcuno ce l’ha fatta, altri si sono arresi, ma a tutti tocca ripartire da capo, confidando nella prossima estate. Solo che tre anni persi non si recuperano. Specie se a causa di qualcosa che «non sussiste».