La Stampa, 8 dicembre 2019
Natale, il dilemma dell’albero. Né dal vivaio né di plastica
Il colpevolizzatore cieco gira su stesso, ha una benda sugli occhi e un enorme ditone puntato. Ogni tanto si ferma. Hai sbagliato, dice alla persona che capita sulla sua traiettoria. Conosce solo questa frase. Poi riprende a girare. Tu non lo sapevi che era cieco, né che conoscesse solo questa frase, quando l’anno scorso ti ha puntato il ditone contro: hai sbagliato, ha detto riferendosi al tuo albero di Natale vero. Eppure eri andato a comprarlo in un vivaio biologico che avrebbe devoluto il 10% del ricavato di ogni albero per comprare un altro albero da piantare in un paesello africano. Lo avevi annaffiato con parsimonia ma costanza, avevi vietato ai figli di avvicinarsi per evitare che lo scioccassero, avevi addirittura messo i doni da un’altra parte per farlo stare tranquillo. E il giorno dopo la Befana lo avevi caricato in macchina e portato in campagna per ripiantarlo vicino a un platano che gli avrebbe fatto compagnia. Eri persino, inspiegabilmente, sicuro che se la sarebbe cavata. Hai sbagliato! E va bene, avevi pensato, quest’anno lo prendo di plastica. Anche se a nessuno piacciono le piante di plastica, tranne a chi arreda i Pronto soccorso degli ospedali. Ma ormai li fanno bene, sembrano uguali. Oppure lo prendo smaccatamente finto, di un colore bizzarro, lo faccio lilla quest’anno l’albero, e invece delle palle ci metto le mele renette e sulla punta un cornetto vegano. E aprendo il portabagagli della macchina per portare a casa il tuo albero lilla e vedendo fare capolino da sotto la moquette gli aghi dell’anno scorso che nessun lavaggio era riuscito a eliminare avevi sorriso, pensando che qualche volta la cosa giusta e la cosa più comoda coincidono. Come un allineamento dei pianeti.
Ma quando già ti stavi rilassando è arrivato il colpevolizzatore: hai sbagliato anche quest’anno. Che mi è saltato in testa? Non lo sapevo che la plastica campa milioni di anni nella bocca delle balene, che il mio albero in un salotto di Settimo Torinese potrebbe essere fatale a una tartaruga alle Galapagos? Ci manca solo che ogni Natale dobbiamo smaltire tonnellate di roba color lilla con cui i festaioli appagano la loro ambizione di creare un atmosfera… Ma se la plastica non va bene e l’abete vero neanche, come lo faccio l’albero, vorrei chiedere al colpevolizzatore cieco che però nel frattempo si è rimesso a girare e soprattutto, come sappiamo, l’unica fase che conosce è "hai sbagliato".
Dike, la figlia di Temi, era vergine e bendata. Era lei che amministrava la giustizia, senza guardare, per dovere di imparzialità. Ma come? La giustizia deve sapere, ascoltare, vedere. E soltanto dopo aver messo insieme tutti gli indizi e le prove decidere chi è innocente e chi è colpevole. Così sembrerebbe. E invece è il contrario. La giustizia è arbitraria e proprio per questo infallibile. Siamo noi irresponsabili nel sottoporre al criterio di giustizia la scelta dell’albero di Natale. O di cosa mangiare, quale mezzo di trasporto usare, che partito votare, quale libro leggere. Non è più bella la responsabilità? Non era meglio rispondere a se stessi della propria stupidità, che non a un tribunale?