la Repubblica, 8 dicembre 2019
Il titolo “Black Friday” non era razzista
So che tra una settimana non ne parlerà più nessuno, ci sarà qualcosa di più serio di cui parlare, magari il razzismo vero e non presunto o invocato a furor di web. E so che, come direbbero a Genova, noi di Repubblica abbiamo già dato. L’appoggio e assoluzione in un’amaca di Serra vale un buffetto del papa. Ma voglio dire la mia su quel “Black Friday” incriminato. Sul razzismo nello sport (e soprattutto nel calcio) ho perso il conto dei pezzi che ho scritto. Tanti, troppi, ma non è un buon motivo per smettere.
Tanto più se il razzismo cresce, rialza la testa. Insieme all’antisemitismo e al sessismo, tutti frutti della stessa pianta malata (mai dimenticarlo). Per questo, gridare al lupo quando il lupo non c’è è un autogol. In quel titolo non c’era nulla di razzista, lo dico per esperienza. Il razzismo puzza, che sia verbale o scritto. Lo noti subito. Detto questo, non era un titolo particolarmente riuscito, quello del Corriere dello sport, né coinvolgente. Non mi sono mai piaciuti i titoli che fanno l’eco a film, libri, ricorrenze, peggio ancora se in lingua diversa dall’italiano. Ma anche: Va’ dove ti porta il fegato, Cronaca di una sconfitta annunciata, Sballa coi lupi, Investivamo alla marinara.
In questo scandalo di panna montata mi ha colpito la reazione di Lukaku e Smalling. Entrambi si sono sentiti feriti. Da cosa? Può darsi che abbiano maturato, nel vissuto calcistico non tutto rose e fiori, una sensibilità più acuta? I due club che hanno avviato azioni contro il giornale, chiamiamole impropriamente Daspo, hanno un proprietario Usa. Vorrà dire qualcosa? In un ambiente in cui per antica abitudine la mano destra non sa quel che fa la sinistra, e nemmeno vuole saperlo, in cui ognuno bada ossessivamente solo a sé, sorprende un po’ che il Milan, estraneo al Black Friday, si sia allineato alla Roma nel Daspo fino al 31 dicembre. Quando il razzismo aveva colpito suoi giocatori (Bakayoko e Kessié, poi ancora Kessié) il Milan era stato più lento di riflessi. Mentre un certo interesse per i giornalisti l’aveva mostrato. Facendoli pedinare.
Interessante il Daspo multiplo. In passato le squalifiche erano ad personam. Bastava scrivere una cosa che non piaceva al club, fosse pure la verità, e diventavi non gradito. Ecco perché, non richiesto, fornisco un paio di consigli a Zazzaroni. Lettera su carta intestata, ringraziare Milan e Roma. Il Daspo non fa perdere una copia e fa risparmiare un po’ di euro. Si consideri la distanza tra Roma e Trigoria, tra Milano e Milanello, si calcolino le spese di carburante, si aggiungano caffè, maritozzi, tramezzini, si moltiplichi per tre settimane. Non sarà una gran cifra, ma non va trascurato il benessere psichico dei cronisti. Ma uno a Milanello o Trigoria che ci va a fare? A vedere gli allenamenti? Non si può più. A strappare una battuta a un giocatore? Non si può più. Anche se è di secondo o terzo piano? Non si può più, decidono tutto gli uffici-stampa. E a cosa servono gli uffici-stampa? A sentirsi importanti. E lo sono? Chiedetelo a loro, io non frequento. Invece ecco il secondo consiglio a Zazzaroni: per tutta la durata del Daspo, applico un controDaspo. Tu mi condanni in un processo sommario e non posso entrare a casa tua? E allora tu non entri a casa mia, non del tutto almeno. Il minimo d’informazione sì: Roma e Milan figureranno nei tabellini e nelle classifiche. Si pubblicheranno, forse, solo pezzi d’agenzia. Non si pubblicheranno fotografie in cui sia distinguibile il logo dello sponsor, non si capisce perché dovremmo fare pubblicità gratis ai finanziatori vostri. Naturalmente il piano antiDaspo è migliorabile. Da qui al 31 si potrebbero pubblicare solo pezzi stagionati almeno 30 anni. Ma poi nessuno è perfetto, nemmeno il Daspo: dei 28 atalantini daspati per reati commessi a Firenze, tre risultano non essersi mai mossi da Bergamo.