La Lettura, 8 dicembre 2019
Il caso Francesco Recami
Esiste un caso Recami (nel senso del romanziere Francesco)? Direi di sì. Recami è un fior di professionista (come si dice di un avvocato, di un ingegnere). Nel suo mestiere sa fare ogni cosa: avventura, giallo, commedia. Inventa personaggi come l’architetto Jacopo Du Vivier, pronto a svenarsi, noleggiando una Lambo Aventador LP700-4 a 2.800 euro al giorno e 120 mila di franchigia, pur di conquistare Yutta. Costei è una deessa, bellissima, misteriosa, inattingibile. E forse anche indemoniata. La prova? Va su tutte le furie, proprio come i vampiri alla vista dell’aglio, quando sente un cd di Madonna sparato a tutto volume dai peruviani della casa di ringhiera teatro delle storie di Recami. Du Vivier, impeccabile nel suo tre quarti di Casentino arancione, è disposto a tutto per lei: «Dunque l’ark provò a buttarla sul culturale, riferì di aver letto un recente libro di Recalcati. Yutta aveva letto solo Lacan, Foucault, Derrida, di Recalcati non sapeva niente». Nessuno sfugge al sarcasmo di Recami. Angela, attempata aspirante romanziera, scrive (una lettera a mano!, come una volta) allo spasimante: «Ricordi quella deliziosa buridda di pesce alla lavagnina che mangiammo da Raieu? Ricordi quando ti leggevo i versi di Heine e di Byron? E Samuel Taylor Coleridge...». Qui la mittente è colta dal dubbio: «Angela rifletté sull’associazione un po’ prosaica fra la buridda di pesce e Coleridge. Ma sì, ma sì, fa Novecento». Insomma, Recami è da 8 in pagella. Anzi, sarebbe. Perché la maniera in cui butta via (riassumendolo e non raccontandolo) il processo finale di La verità su Amedeo Consonni, epilogo (che poteva essere alla Grisham) della sua infinita saga da Balzac di ringhiera, grida vendetta. Come se l’autore si fosse disamorato dei personaggi e della storia, come se non volesse loro abbastanza bene, come se lo tediassero. Questo, forse, fa molto Novecento. Ma è peccato.