Corriere della Sera, 8 dicembre 2019
Stampare le foto, la via della Fujifilm
Nel 2000, che segna il picco per le pellicole, i prodotti per la fotografia rappresentavano il 60% dei ricavi di Fujifilm e circa il 70% degli utili. Ma, nel giro di un decennio, il boom delle fotocamere digitali ha fatto terra bruciata di quelle attività. Kodak, marchio storico americano, fondato 1888, dichiara fallimento nel 2012. La rivale giapponese, nata nel 1934, invece, ha continuato a crescere, reinventandosi. «Abbiamo puntato sull’innovazione, con un forte piano di investimenti in R&S, e usando le tecnologie che avevamo già in casa, per aumentare la diversificazione e svilupparci in nuovi settori, mentre riducevamo le vecchie attività. Ancora oggi investiamo 1,6 miliardi di dollari all’anno in R&S e continueremo», afferma Masato Yamamoto, 56 anni, managing director di Fujifilm in Europa, Mba al Mit di Boston. In Giappone nel 2006 Fujifilm ha perfino lanciato una linea di cosmetici «funzionali», con il brand Astalift, sfruttando il know-how nel collagene, la gelatina alla base delle pellicole.
Basta un confronto per raccontare la scommessa vinta. Nell’ultimo esercizio, chiuso a marzo 2019, il fatturato è salito a 21,9 miliardi di dollari (2.431,5 miliardi di yen rispetto ai 1.440,3 miliardi del 2001), mentre l’utile operativo ha toccato il record di 1,9 miliardi con 1,2 miliardi di utile netto. «Le pellicole rappresentano meno dell’1% della nostra attività, mentre nel complesso i prodotti della fotografia sono scesi al 16% delle vendite. Ma anche in questo segmento stiamo crescendo», sottolinea Yamamoto. E cita il caso clamoroso di Instax, la fotocamera «ibrida» per le foto istantanee, che permette anche di stampare le foto scattate con lo smartphone. «Nel 2002 e 2003 abbiamo venduto un milione di apparecchi; poi nel 2007 siamo scesi a 100 mila. Ma 2 o 3 anni dopo i ragazzi in Giappone hanno cominciato a usarla. Per i nativi digitali le foto stampate sono una novità. Il fenomeno è globale. Nel 2019 abbiamo venduto 10 milioni di pezzi, soprattutto in Europa, Italia inclusa». Fujifilm, inoltre, ha lanciato sul mercato una stampante tascabile, per le foto scattate dallo smartphone. Così Apple e Samsung più che concorrenti sono visti come «un’opportunità», sostiene Yamamoto. E, se diminuisce la vendita delle macchine fotografiche compatte, Fujifilm punta sul segmento alto, «trasferendo nel digitale la nostra expertise nella pellicola». I nuovi consumatori, però, si conquistano anche innovando il retail. Fujifilm ha lanciato la catena Wonder Photo shop, che porta nel negozio di fotografia, un tempo percepito come noioso «l’atmosfera di un caffé». I primi shop sono stati aperti a Tokio, a New York e a Barcellona, l’unico di proprietà. L’ultimo è stato a Londra, ma ce n’è uno anche a Milano, all’interno di un Mondadori Store. L’obiettivo di Yamamoto è aprirne «80 in tutta Europa».
Nel Vecchio Continente Fujifilm fattura circa 2,5 miliardi di dollari. L’Italia (la sede è vicino a Milano) nel 2018 valeva 143 milioni di euro. «Ancora poco, ma significa che abbiamo più opportunità di crescita», valuta il top manager. Nel nostro Paese il progetto, come nel resto d’Europa, è rafforzare le attività farmaceutiche e l’area della salute, che a livello globale già vale oltre il 43% dei ricavi di Fujifilm. «È il business che cresce di più. La società invecchia, tutti avranno bisogno di nuove soluzioni. In Italia abbiamo una società di software, ma non siamo solo quello. Stiamo sviluppando la piattaforma in partnership con ospedali e altre istituzioni, per fornire le soluzioni. A livello globale. Il nostro piano industriale prevede di raddoppiare il comparto biomedicale e della salute a un trilione di yen (oltre 9 miliardi di dollari) entro il 2025». «Il gruppo dal 2011 ha realizzato 8 acquisizioni strategiche in tutto il mondo, l’ultima in agosto in Danimarca (Biogen). Il criterio? «Compriamo per acquisire tecnologia e know-how».