Corriere della Sera, 8 dicembre 2019
Perché la Borgonzoni non è Guazzaloca
Caro Aldo, si è aperta in questi giorni a Bologna la mostra organizzata dal Comune, dall’Ascom e dalla Cineteca sulla figura di nostro padre, Giorgio GUAZZALOCA. Candidato di una lista civica, fu sindaco di Bologna dal 1999 al 2004. Il civismo e l’estraneità agli schemi ideologici tradizionali furono la cifra caratterizzante del suo mandato; in parte sembrò spiazzare i partiti, ma rifletteva bene una tradizione radicata a Bologna, fatta di partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica e politica, alla cura del «bene comune». Ci sembra che oggi la pratica e il valore del civismo siano ampiamente riscoperti, non solo a Bologna. È alla luce di ciò che desideriamo ricordare la figura di papà.
Giulia e Grazia GUAZZALOCA
Cara Giulia, cara Grazia,
Lucio Dalla osservò che vostro padre sarebbe stato uno splendido candidato sindaco del centrosinistra. Ma lo candidò il centrodestra. Un esimio professore credette di irriderlo dicendo che non si poteva votare uno che aveva la licenza media. Giorgio GUAZZALOCA rispose – credo esagerando – che non aveva neanche la licenza elementare. Il giorno dopo fu fermato per strada da decine di operai e artigiani comunisti che come lui non avevano potuto studiare; qualcuno lo abbracciò senza dire una parola; lui capì che erano tutti voti in arrivo. Ogni tanto diceva che voi, sue figlie, avevate studiato anche per lui; aggiungeva sorridendo che di questo passo sareste diventate intellettuali di sinistra, categoria che non era la sua preferita; in ogni caso era molto fiero di voi.
Non so se in Emilia Romagna vincerà Lucia Borgonzoni. Se così fosse, sarà una vittoria di segno molto diverso da quella di Giorgio GUAZZALOCA a Bologna nel 1999. La Borgonzoni si è riparata dietro Salvini. GUAZZALOCA ricevette una telefonata da Berlusconi che gli annunciava fiero di aver stampato bellissimi manifesti con il suo volto e la scritta «Berlusconi presidente». «Che bello, li aspetto con ansia» rispose. Poi li chiuse in cantina. Per raccontare la sua vittoria arrivarono dal Giappone. Non dava volentieri interviste. Entrai in confidenza con lui raccontandogli di mio nonno macellaio. «Chiamano macellaio anche me, anche se sono trent’anni che non affetto la carne» diceva. «Ma saprei ancora farlo». Lo ricordo come una delle persone più simpatiche e umane che abbia mai incontrato.