Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2019
La truce storia della chirurgia
Una vecchia barzelletta racconta di tre medici, un internista, un chirurgo e un anatomopatologo che vanno a caccia di anatre. Improvvisamente uno stormo spazza il cielo. L’internista si ferma e dice tra sé e sé: «Potrebbero essere anatre, ma anche oche, gabbiani o aironi. Farò un test per vedere se rispondono al richiamo per l’anatra». Prima che egli possa usare il richiamo, il chirurgo alza il fucile e spara a metà stormo, facendo cadere una pioggia di brandelli di uccelli. L’internista e il chirurgo guardano l’anatomopatologo: «Bene, ora ci troveresti un’anatra?».
Oggi queste vecchie caricature sono in larga parte superate ed è un anacronismo parlare di facoltà di medicina e chirurgia: i chirurghi devono ragionare sui dati clinici e patologici, e non sono diversi dagli internisti o dagli anatomopatologi: fanno ricerca, diagnosticano, prognosticano e prescrivono farmaci.
Come racconta il chirurgo olandese van de Laar, per millenni, in assenza di anestesia, antisepsi e antibiotici, la chirurgia significava dolori insopportabili e ferite infette, che uccidevano quasi altrettanto spesso (e a volte più spesso) di quanto guarivano. Era rischioso fare il chirurgo. I babilonesi applicavano la legge del taglione ai chirurghi (salvo quando a rimetterci erano gli schiavi). A praticare la chirurgia erano spesso macellai o barbieri, velocissimi a operare e indifferenti al sangue e alle urla di dolore.
Essere molto rapidi aveva degli inconvenienti e il chirurgo scozzese Robert Liston tagliò i testicoli di un uomo per la fretta di amputargli una gamba. Senza scordare che qualcuno si suicidava piuttosto che affrontare il coltello. Nel libro si racconta dei «tagliatori di pietre», che per secoli praticavano la litotomia o estrazione dei calcoli vescicali: in italiano erano «cavatori di pietre» e dovevano essere rapidissimi, farsi pagare in anticipo e possedere un buon cavallo per scappare se l’operazione fosse andata male. Nel giuramento ippocratico il medico viene diffidato dall’operare il mal della pietra, perché la probabilità di successo era una su due.
La rivoluzione iniziava a metà Ottocento. L’invenzione dell’anestesia cancellava il dolore: belle le pagine sulla regina Vittoria che si fece anestetizzare da John Snow (lo stesso che dimostrò epidemiologicamente che l’acqua è vettore del colera) per mettere al mondo un figlio senza soffrire, alla faccia di preti e conservatori, e in questo modo promuovendo l’uso dell’anestesia. La scoperta della causa microbica dell’infezione delle ferite fu un avanzamento anche più significativo perché consentiva, attraverso l’asepsi e l’antisepsi progressi continui nella capacità di tagliare, demolire e ricostruire con meno rischi le infezioni. Con l’arrivo degli antibiotici la mortalità si abbatté decisamente.
Il libro è pieno di storie sconosciute e curiose spesso anche raggelanti per i nauseabondi dettagli. Per esempio, i tessuti colpiti da tubercolosi paragonati al formaggio o la descrizione della fistola anale del Re Sole, che il chirurgo operò dopo essersi esercitato su decine di cavie umane, così come le pagine dei carcinomi mammari: non sono per stomaci delicati.
Non mancano storie mediche sugli eccentrici papi del Medioevo e del Rinascimento. Papa Innocenzo VIII, che, una volta diventato troppo pesante per sedersi a tavola, riceveva l’ordine del medico di essere allattato al seno da donne locali. Mentre Papa Giovanni XXI, che era stato chirurgo prima di assumere il papato, pubblicò un libro intitolato Thesaurus Pauperum che offriva consulenza a coloro che non erano in grado di soddisfare le spese dei medici: alcuni consigli riguardavano contraccezione e l’aborto.