Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2019
La messa cantata per Johnny Hallyday a Parigi
La verità era rimasta fuori dalla chiesa e di questo se ne era accorta Sylvie Vartan, in piedi davanti alla porta della Madeleine, i capelli biondi che scintillavano in una giornata dolorosa d’inverno, quei capelli che avevano trasformato il cuscino in un campo di grano, come cantava Johnny Hallyday, suo compagno, marito, partner sulla scena, in una delle canzoni più emozionanti, Que Je T’aime. La verità dell’amore sincero, generoso, pulito perché senza interessi economici, era rimasto oltre le transenne che per strada contenevano le migliaia di fans accorsi a Parigi da ogni parte della Francia, da Sète a Besançon, per rendere omaggio all’uomo che aveva reso felice, o spesso solo sopportabile, la loro vita. E probabilmente questa folla di fedeli sapeva di rappresentare l’altra famiglia di Johnny, ed esclusa dalla cerimonia, aveva alzato al cielo il grido più cristiano di tutti: «Et nous?». E noi gli ultimi, noi che abbiamo comprato oltre cento milioni di dischi, noi che non abbiamo mancato un concerto allo Champ de Mars, allo Stade de France, a Place de la Republique dopo la strage del Bataclan, noi gli orfani, noi quando potremo rendere omaggio al nostro Dio, a notre Dieu? «Bisogna accoglierli», aveva risposto Bruno Horaist, parroco della Madeleine, spiazzando anche le gerarchie dei superiori all’annuncio che il 9 gennaio 2018, a un mese esatto dal funerale, si sarebbe tenuta una messa a suffragio dell’artista, e questa volta i suoi “figli” sarebbero stati i benvenuti.
Quel che Horaist non sapeva, ma avrebbe dovuto intuire lui celebrante di un rito che si ripete identico da duemila anni, è che una sola messa non poteva bastare, e che il popolo di Johnny Hallyday si sarebbe ritrovato in quella stessa chiesa, numeroso e commosso come il primo giorno, ogni nove del mese di tutto il 2018 e di tutto il 2019, fino a domani, quando verrà celebrata l’ultima messa dell’anno. E sarà, annunciano i club dedicati al santo del rock francese, al troubadour della canzone popolare, un oceano di abbracci, di lacrime, di rose bianche, il fiore del rispetto e della passione pura, e sarà l’estrema occasione per lasciare un messaggio sugli oltre cinquanta quaderni che dal dicembre 2017 al settembre di quest’anno hanno raccolto le confessioni e le preghiere di uomini e donne di ogni età e di un unico grandissimo amore. Più di cinquemila pagine che due sociologi, Jean-François Laé e Laetitia Overney, hanno studiato raccogliendo le conclusioni in un libro appena uscito per le edizioni Bayard, Johnny, j’peux pas me passer de toi. Écritures de séparation et mémoire.
Non è la prima volta che Hallyday è oggetto di un’indagine “alta”, visto che il 6 luglio 1963 «Le Monde» chiese a Edgar Morin di commentare lo straordinario concerto di Johnny, allora ventenne, in Place de la Nation a Parigi. L’organizzazione aveva previsto 30mila spettatori. Ne arrivarono più di 150mila, un’intera generazione per la quale Morin inventò il temine yeye. Quegli stessi ragazzi di allora, invecchiati, i giubbotti di pelle nera e rossa che a fatica si chiudono sul petto, sono entrati per la prima volta alla Madeleine due anni fa e con assoluta sobrietà e una fede toccante anche ai più indifferenti al culto, hanno composto un rosario di candeline ai piedi della balaustra, hanno percorso i gradini dell’altare facendo scricchiolare gli stivali da motociclista nel silenzio della chiesa, hanno appoggiato il ritratto di Johnny sotto il pulpito e hanno lasciato che il loro caro, il fratello, il padre, l’amante, venisse accolto tra le braccia di marmo bianche di Maria Maddalena e ascendesse in cielo direttamente tra i santi, gli angeli e Cristo.
Ad accompagnare la messa era e sarà anche per l’ultima celebrazione la splendida voce di Serge Ichai, maglietta nera e anelli a teschio, che dopo “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” intona Retiens la nuit, una delle canzoni simbolo di Jojo, scritta per lui da Charles Aznavour nel 1961 e intonata dallo stesso Johnny a una Catherine Deneuve coetanea e liceale pudicissima nel film Les Parissiennes. Per il dispiacere delle parigine di oggi Padre Jean-Yves Jaffré, sacerdote della Madeleine, si è preoccupato di adattare le parole al contesto ecclesiastico e così la nuit che doveva restare in cielo pour nous deux diventa la notte ecumenica che non scende pour chacun jusqu’à la fin du monde, e così anche ton corps, che Hallyday stringeva forte a sé, si è trasformato nel Ton Corps del cuore eucaristico. Il pubblico non protesta neppure quando Que je t’aime, l’inno dell’amore liberato degli anni 70, tra la bocca che diventa dolce e le dita che vorrebbero ma non osano, tra il richiamo del lupo che finalmente rompe «le tue catene» e noi che facciamo l’amore come altri la guerra, vengono sostituite dai versi tratti dai Misteri del Rosario. E su queste note, dimenticando per un attimo la vergine Maria e ricordandosi dell’altro suo figlio reietto, abbandonato dal padre in terra, quel figlio che nei concerti si apriva la camicia per lasciare ammirare le stille del suo sudore, les gars e les filles lanciano un ultimo sguardo all’altare e si dirigono al banco che accoglie il libro d’oro delle firme. Più di 70mila messaggi lasciati in due anni per stabilire ancora una volta un contatto, «e questo legame ci ha sorpreso», ammettono i due sociologi, perché va oltre il cordoglio e crea una comunità che si raccoglie intorno al maestro anche dopo la morte, e ne ricorda i miracoli, il dolore consolato, la speranza che è tornata ascoltando le sue canzoni, e l’emarginazione, la povertà, l’esclusione che grazie a Johnny brillano come medaglie all’onore. Scrive Marcel: «Hai accompagnato 62 anni della mia vita, come posso fare adesso?». E Régine: «In campagna non c’era niente e tu ci hai fatto capire che poteva esserci una vita diversa da quella senza ambizioni che ci offrivano i nostri genitori». E poi Jean: «Ero in coma e ho sognato che tu venivi a trovarmi in ospedale». E ancora Annette: «Riposa in pace Johnny e canta Le Pénitencier a mio marito, la canzone che adorava. Mando mille baci a tutti e due». Fuori dalla Madeleine, che ha celebrato le esequie anche di Frédéric Chopin, di Josephine Baker e di Dalida, si è raccolto un gruppo di fan intorno alla Harley Davidson di uno dei più ferventi discepoli di Jonì. Non bello come lui, ma è il più bello del gruppo, e al collo porta lo stesso crocefisso d’argento e diamanti su cui un altro Gesù, in jeans, stivali e chitarra, appare inchiodato. La messa è finita, cantiamo in pace.