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 2019  dicembre 08 Domenica calendario

I più grandi autori di patacche

Recentemente in queste pagine Stefano Salis raccontava la storia di una falsa notizia e di un falso bibliografico relativi al  Sidereus nuncius di Galileo Galilei. L’episodio va ad aggiungersi alle centinaia di  fake news, grandi e piccole, che hanno costellato la storia politica, letteraria, religiosa dalla più remota antichità. A volte semplicemente ridicole e beffarde, ma altre volte incisive e di portata enorme. Non solo futili divertimenti, ma anche perversi, maligni strumenti con cui ingannare il prossimo o sovvertire solide e importanti realtà, fino ai giorni nostri. Ne dà una rassegna Errico Buonanno, scrittore che anche in proprio ama le trasformazioni della realtà e i giochi a rimpiattino con i suoi lettori, in Sarà vero. Il volume, apparso la prima volta presso Einaudi nel 2009, ora può essere già ristampato in una nuova edizione “aggiornata e ampliata” da nuove ricerche e nuove comparse. Dietro un libro simile stanno Borges e Manganelli, Eco e il grande Grafton con  Falsari e critici (1990, Einaudi 1996). La messe delle falsificazioni stipa interi scaffali, spiegava Grafton, e corre dalle origini della civiltà occidentale fino all’epoca contemporanea. 
Ai vertici, per la sua portata enorme e tragica, sta la falsa Donazione con cui Costantino imperatore, guarito miracolosamente dalla lebbra, investe il vescovo di Roma e i suoi successori fino alla fine del mondo della «supremazia sopra tutte le chiese per tutte le terre». Inizio del più che millenario potere anche temporale dei papi e fonte di rivolte e scismi devastanti, quella donazione era una pura invenzione, come fu sagacemente e facilmente dimostrato mille anni dopo, a metà Quattrocento, in uno dei primi capolavori della filologia moderna e dell’emersione dall’età d’oro delle fake news: la De falso credita et ementita Constantini donatione analizzata da Lorenzo Valla su basi sia contenutistiche che formali.
Cosa non ha inventato il Medio Evo è quasi incalcolabile e supera ogni nostra immaginazione. Quell’arco lunghissimo di anni divenne per paradosso filosofico o per intrighi di potere una fiera della falsità, un «eldorado di falsari, congiura da operetta, trionfo della frode, autentica civiltà del falso» secondo la definizione di Buonanno. Ed età della fantasia secondo la definizione di Vico.
Anche Alessandro Magno, si fa per dire, di alcune sue esperienze nella spedizione asiatica al vecchio maestro Aristotele, genio universale, stende un parco delle meraviglie con mostri marini grandi come isole, alberi parlanti, leoni più grossi dei nostri tori, uomini con sei mani…
Sovrani impostori un po’ dappertutto in Europa; il Prete Gianni sovrano cristiano delle Indie dal Paradiso terrestre ai pressi della Torre di Babele, e in Abissinia e fino in Irlanda, un ideale pantagruelico per secoli bui e penosi, dove – scriveva personalmente quel collega a Federico Barbarossa, lasciando l’Europa a bocca aperta – fluivano dalle sorgenti lac et mel e i fiumi portavano nelle loro acque pietre preziose, e vi dimoravano tutti gli animali della terra tranne i serpenti velenosi, e anche i merli sono bianchi e le cicale mute e gli abitanti sono pigmei o giganti. 
Eppure anche quella lettera, così com’era, fomentò esplorazioni, ricerche, spedizioni; e ispirò meno gravemente qualche cenno e verso a Boccaccio, Ariosto, Tasso e Shakespeare. E se qualcuno non avesse creduto alle parole di quel sublime monarca, avrebbe trovato informazioni sicure su di lui e sul suo impero da un testimone, un inglese stabilito in Francia, John Mandeville, che senza essere mai uscito di casa descrisse nei suoi Viaggi le peregrinazioni da lui compiute per trentaquattro anni in Europa, Asia e Africa, e dalle parti della Cina, dove appunto s’imbatté in quel reame colmo di meraviglie e di enormità e nel raccapricciante arcipelago di Giava. Qui i padri divorano i figli, i figli i padri, i mariti le mogli, le mogli i mariti. Ci sono giganti con un occhio solo in mezzo alla fronte come Polifemo, altri senza testa e con gli occhi e bocca nelle spalle, e la labbra tanto grandi che le rivoltano e se ne servono come cappuccio per riparare il volto dal sole.
Di tutt’altro genere, commoventi, le meraviglie della Terrasanta, la vera meta per cui si mosse Mandevile e su cui torna ripetutamente per dirci che là si trova ancora l’Arca di Noè incagliata sulla cima del Monte Ararat e la si può scorgere a occhio nudo nelle giornate limpide. Altrettanto nella Samaria si può vedere ancora il pozzo presso cui Nostro Signore parlò alla Samaritana; e nella Valle di Dothan si vede ancora il pozzo in cui fu calato Giuseppe dai suoi fratelli.
Anche nelle antiche letterature non si finisce più di vagare perlomeno nell’incerto se non nell’autentico falso. Delle decine e decine di opere adunate nel Corpus Hippocraticum una buona metà è apocrifa, e anzi lui stesso, il sommo medico, è una patacca: «non è mai esistito» (Wilamowitz). Altrettanto sono stati tramandati come veri trattati falsi dell’altro principe dei medici, Galeno. La stragrande maggioranza della commedie attribuite a Plauto è apocrifa. Apocrifi alcuni Vangeli e la corrispondenza tra Seneca e san Paolo, come dimostrò Erasmo raffinatamente e spiritosamente. 
E queste sono ancora quisquilie rispetto alle demolizioni a cui attese un gesuita seicentesco, al quale accenna Buonanno nel capitolo finale. Costui, Jean Hardouin, ci racconta nei Prolegomena che mentre approntava un’edizione della Storia naturale di Plinio il Vecchio, uno scienziato a metà, «nel mese di agosto del 1690 cominciai a subodorare qualche frode negli scritti di sant’Agostino e simili; nel successivo mese di novembre sospettai di tutti e nel maggio del 1692 scoprii il tutto dopo aver trascritto lunghi estratti di scrittori greci e latini»: e cioè che le intere letterature greca e latina, eccetto Plinio e qualche verso di Orazio e di Virgilio georgico (che però «non pensò mai nemmeno per un attimo di scrivere l’Eneide»), sono un falso di monaci medievali sfaccendati. Altrettanto deve dirsi di molti scritti di Padri della Chiesa e di molte opere d’arte: la Colonna Traiana è anch’essa trecentesca.
Eppure ancora nel secolo seguente, quello dei Lumi, uno dei più strepitosi successi letterari ed editoriali furono i Canti di Ossian, «frammenti di antica poesia raccolti sugli Altopiani di Scozia» attribuiti a un antico bardo e invece opera del loro editore, James Macpherson. Operazione ripetuta un secolo dopo e col medesimo scopo apologetico in Sardegna con la pubblicazione di certe Carte d’Arborea trecentesche che comprovano (comproverebbero) la magnificenza del Medioevo sardo.
Di quegli anni, come nei nostri Diari di Hitler, è anche l’exploit più strepitoso fra tutti quelli citati dal Buonanno. Nel 1865 un autodidatta francese esperto di genealogie e di numismatica, Vrin-Denis Lucas, contraffà e rifila per 140mila franchi al matematico e accademico Michel Chasles un corpo di 27.350 autografi di famosissimi personaggi storici: Molière, Racine, Shakespeare e anche Dante, Attila, Carlo Magno, Giovanna d’Arco, una lettera d’amore di Cleopatra a Cesare e una della Maddalena a Lazzaro, nonché quella vergata da Giuda Iscariota prima d’impiccarsi; e tutte vergate in francese! Processato e imprigionato quella volta e altre per motivi simili, il Vrin-Denis alla fine se ne torna bel bello a vendere libri antichi a Châteaudun.
D’altra parte nel suo piccolo anche Alessandro Manzoni inventò e creò un manoscritto seicentesco da cui trascrisse «con eroica fatica», addomesticandone la lingua, la storia dei due innamorati; e Cervantes si dice non padre patrigno di quella del famoso Hidalgo narrata negli Annali della Mancha dallo storico arabo Cide Hamete Benengeli. 
Si può concludere con un brano del nostro Autore in riferimento ai Canti di Ossian. Da sempre ci sono due modi per fare la Storia: costruire il futuro o fabbricare il passato, e dei due il secondo «è il più sottile e anche il più efficace». 
Oppure torniamo a Grafton e raccogliamo anche la sua conclusione, dell’importanza, involontaria, di tante fonti create con la cosciente volontà di ingannare, e dell’ottima qualità di larga parte di esse. Secondo un proverbio ben nolto ai poliziotti, cita Grafton, «Per scoprire un ladro ci vuole un ladro»; così sulla parete dello studio del detective letterario potrebbe benissimo stagliarsi quest’altro, che «Per scoprire un falso ci vuole un falsario».