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 2019  dicembre 08 Domenica calendario

La natura morte

Dire “natura morta” è quasi un ossimoro. Perché la natura, nei quadri degli olandesi del Seicento, è cosa vivissima. È melograni maturi, limoni succosi su piatti di peltro, vino che frizza nelle coppe di cristallo, farfalle sui cocomeri, passerotti sui grappoli d’uva: il cielo in una stanza. È così che gli artisti più certosini del Secolo d’oro hanno catturato il respiro delle cose. Affondando nei soggetti a caccia di umori latenti, scivolando sulle tavole imbandite, nelle ceste dei mercati, nelle dispense delle locande. «Dio è nei dettagli» diceva il grande architetto Mies Van Der Rohe. E i pittori dei Paesi Bassi lo avevano già capito all’alba del barocco, quando la scienza moderna li stuzzicò ad aguzzare la vista sui segreti della flora e della fauna, registrando in punta di pennello ogni sfumatura naturale con la stessa acribia dei botanici o degli entomologi. Questa vocazione per un microcosmo domestico, per i gusti feriali delle case borghesi, riti e miti di un’intimità quotidiana, è raccontata al Museo Santa Caterina di Treviso nelle sale della mostra Natura in posa (fino al 31 maggio, catalogo Marsilio) promossa da Civita Tre Venezie con la preziosa collaborazione del Kunsthistorisches Museum di Vienna che ha concesso in prestito oltre cinquanta opere delle sue collezioni. Ecco allora la storia di un genere nato nelle officine del Cinquecento come comparsa ai margini di scene narrative, sacre o profane, e diventato protagonista di gigantesche allegorie sul senso della vita, la caducità del piacere, la felicità che ci tocca e se ne va. Curato da Francesca Del Torre, con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot, conservatrici del museo viennese, e da Denis Curti per la sezione collaterale di fotografia che rilegge il tema della natura morta attraverso l’obiettivo di nomi celebri del contemporaneo, il progetto inaugura un programma espositivo triennale pronto a intrecciare la pittura dei maestri con le vicende del territorio; in agenda, anche una retrospettiva del pittore trevigiano del Rinascimento Paris Bordon, allievo di Tiziano. «L’idea è quella di lavorare su contenuti scientifici e alta qualità delle opere, ma sempre connessa all’esperienza del luogo» spiega l’assessore alla cultura Lavinia Colonna Preti; «questa mostra evoca l’antico concetto della villa veneta patrizia che, prima d’essere villa di delizia, nacque come una fabbrica florida, dalla destinazione agricola». Uno spazio dinamico per la produzione e il commercio. Non a caso il percorso si apre sui quadroni lussureggianti della scuola di Frederik van Valckenborch dove mercati di fiori e frutta affollano cortili signorili. Qui la festa non è guastata dal retrogusto amaro che invece aleggia dietro i colori del fiammingo Lodewijk Toeput, detto Pozzoserrato, calato da Anversa in Italia per compiere il classico grand tour di formazione e rimasto a bottega da Tintoretto prima di stabilirsi a Treviso, amatissimo dalla committenza nobile per i suoi paesaggi ariosi e i trionfi di verzura. Nel suo Avaro malinconico il messaggio che scorre in sottotraccia è chiaro: la ricchezza non è un antidoto alla morte. Su una tavola principesca scintillano cibi e bevande che non addolciscono il presagio della fine. L’icona subdola della vanitas nutre gli occhi mentre punge le coscienze con la sua profezia letale. Il confronto con Francesco Bassano (il ciclo splendido delle Stagioni appartenuto all’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo) apre una finestra sulle stesse riflessioni condotte in parallelo a sud delle Alpi. «Rispetto agli italiani, i maestri del nord – spiega Francesca Del Torre – si specializzarono in una serie infinita di sottogeneri. Non nature morte generiche, ma tavoli della colazione, accessori per il fumo, attrezzi venatori...». Van der Baren, artista e sacerdote, arrivò all’eccesso di zoomare sui doni dei Re Magi, oro, incenso e mirra, relegando sullo sfondo lontanissimo un’ Adorazione in miniatura. Procedendo per sezioni che si tingono di ironia e grottesco nei retroscena delle cucine, fra corteggiamenti e ricette d’amore, si incontrano capolavori come Il medico di Gerard Dou, olandese competitor di Vermeer e apprendista di Rembrandt, che spiumava i suoi pennelli per renderli minuziosi, chirurgicamente impeccabili. Abbandonata la presenza umana, la giostra degli still life dilaga nella seconda parte della mostra dove il privilegio di una visione ravvicinata permette al visitatore di perdersi dentro i particolari, magnifica ossessione di pittori che sognavano di competere con la realtà, sfidandola in un audace gioco di mimesi. A parte i famosi strumenti musicali di Baschenis e i trofei di caccia con relativa strage di selvaggina, quello dei fiori era il terreno più ambito. La “tulipomania” che contagiò la borghesia fiamminga, attratta dal valore di opere costose in grado di confermare il livello sociale di chi le esponeva nei salotti, fece addirittura crollare la borsa dei tulipani, mentre autori meravigliosi come Jan Brueghel il Vecchio inventarono mazzi impossibili composti con specie diverse che, in natura, non fioriscono mai assieme. Nella gara pittura contro natura spiccano infine mani di donna, come la vicentina Margherita Caffi, stimata alla corte asburgica ed erede delle intuizioni di Fede Galizia, signora della natura morta, coetanea di Caravaggio. Una di loro, Caterina Della Santa, firma in chiusura un “inganno” con pagine strappate ai manoscritti che sembrano sparpagliate dal vento. L’illusione supera la verità. Fiori e frutta Cerchia di Joris van Son: Natura morta con frutta (1650 circa); sopra, Willem Claesz Heda: Natura morta con colazione e coppa con coperchio (1634); in basso Jan Brueghel il Vecchio: Mazzo di fiori in un vaso blu (1608) A tavola Lodewijk Toeput detto Pozzoserrato: L’avaro malinconico (1585 circa); a sinistra, Evaristo Baschenis: Natura morta con strumenti musicali, terracqueo e sfera armillare (XVII secolo) e, in alto, Francesco Bassano: Scena di mercato (1580-1585)