il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2019
Lo champagne di Stalin
Nella storia dell’Unione Sovietica comunista, il 1936 è ricordato come l’anno in cui iniziò il primo dei processi voluti da Iosif Stalin per annientare gli oppositori e la vecchia guardia bolscevica. Si tenne a Mosca, nella Casa dei Sindacati, dal 19 al 28 agosto; tra i 16 imputati, tutti condannati a morte, c’erano Kamenev e Zinov’ev. Il 1936, tuttavia, non sancì solo l’inizio del Grande Terrore e la promulgazione della nuova Costituzione. Fu nell’estate del ’36 (l’anno che segnò la fine dalla carestia e l’azzerramento della disoccupazione nel Paese) che Stalin decise di produrre in massa lo champagne sovietico, il “Sovetskoe šampanskoe”. Secondo il sociologo finlandese Jukka Gronow, autore del saggio Caviar with Champagne: Common Luxury and the Ideas of Good Life in Stalins Russia, l’idea del dittatore georgiano era “di rendere cose come lo champagne, la cioccolata e il caviale disponibili a prezzi più bassi, per poter dire che il lavoratore sovietico viveva come gli aristocratici del vecchio mondo”.
Le vittime delle purghe staliniste, però, avrebbero ricordato con orrore quel vino, dato che al momento del loro arresto, a quanto pare, venivano caricate su furgoni della polizia sulle cui fiancate era pubblicizzato lo “Sovetskoe šampanskoe”. Tre anni dopo, quando il 23 agosto del 1939 venne firmato il patto di non aggressione fra la Germania nazista e l’Urss, a Mosca si brindò con la vodka e con lo champagne dolce di Stalin. Era “un vino frizzante, sciropposo e a buon mercato” che, con ogni probabilità, non piacque a Joachim von Ribbentrop. Il ministro degli Esteri di Hitler, prima di aderire al nazismo si era occupato con successo di importazione di champagne, ma di quello vero, dalla Francia. Resta il fatto che Stalin, come scrisse Trotskij, anche con il suo champagne dolciastro “per completare l’abbandono della politica d’alleanza con le socialdemocrazie, striscia bassamente, in maniera umiliante, di fronte a Hitler e si appresta a pulirgli gli stivali con zelo”.
Lo champagne di Stalin, in prevalenza della Crimea, innaffiò i banchetti al consolato generale sovietico di Barcellona, durante la guerra civile 1936–39. Narra Alain Brossat nel libro Agenti di Mosca. Lo stalinismo e la sua ombra che Moritz Bressler, alias Hubert von Ranke, definito dagli storici “uno degli agenti più ignobili della Gpu” (la polizia segreta sovietica), nella primavera del ’37 venne invitato a un pranzo nella legazione dell’Urss, a base di “asparagi e champagme di Crimea”, In quella villa, dirà von Ranke, “ci si sentiva a leghe e leghe di distanza dalla guerra e dalla rivoluzione”. Bressler-von Ranke, in ogni caso, magari per avere bevuto troppo champagne sciropposo, decise, di lì a poco, di troncare i suoi rapporti con gli sgherri di Stalin e si rifugiò in Francia, vivendo in clandestinità e partecipando poi alla Resistenza.
Anche la nascita dello “Sovetskoe šampanskoe” è passata alla storia assieme alle fosche vicende sovietiche del ’36. Il 28 luglio di quell’anno, ha rievocato Lettera 43-Rivista Studio, “in una riunione del Pcus fu deliberata una risoluzione che impegnava il governo sulla produzione di uno champagne che fosse sovietico. L’idea venne appunto direttamente da Stalin, nato nella Repubblica democratica della Georgia, la culla più antica al mondo della cultura vinicola”. “Lo champagne”, affermò Baffone, “è un importante segno di benessere”. Perciò, “il governo sovietico avviò un piano per la realizzazione di nuovi vigneti, fabbriche e magazzini, nonché il reclutamento e la formazione di migliaia di nuovi lavoratori”. Dopo vari esperimenti, continua Lettera 43, “si optò per una miscela di uva Aligoté e Chardonnay, e per una tecnologia che prevedeva un processo di maturazione di appena 25 giorni, rispondendo così solo all’esigenza di dare uno spumante alle masse, ma non di produrre una bevanda di qualità”. Per nasconderne “l’acidità il sapore venne ulteriormente alterato, aggiungendovi lo zucchero”.
A lavorare alla nascita dello champagne comunista era Anton Frolov-Bagreev, ex produttore di vini che riceverà il Premio Stalin. La ricerca, rammenta il sito online CiaoItaliaRussia, lo portò “all’utilizzo di attrezzature del metodo Martinotti-Sharma, tecnologia di vini spumanti già adoperata in Italia”. Nel ’37, a ogni modo, “dalla catena di montaggio uscì la prima bottiglia di spumante sotto il nuovo marchio ‘Champagne sovietico’”. Scrive il sociologo Gronow: “Nonostante il gusto e il fatto che rimase troppo costoso per il consumo quotidiano, divenne simbolo di tutte le celebrazioni sovietiche. Era la ‘Coca-Cola dell’Unione’, lo bevevi ed era come fare la bella vita”.
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, rammenta ilpost.it, “il governo vendette i diritti dello spumante ad aziende private russe, bielorusse, moldave e ucraine, che continuano a produrlo per nostalgici, appassionati, curiosi o revanscisti”. Così, da emblema dello stalinismo, lo champagne “made in Urss” è diventato un frammento russo della Ostalgia, ossia di quel “rimpianto, ricordo nostalgico”, recita la Treccani, dei tempi in cui l’Est era separato dall’Ovest.