il Giornale, 8 dicembre 2019
Su “Elogio dello snobismo” di Marcel Boulenger
Nel suo ironico Elogio dello snobismo (Odoya, pagg. 60, euro 8) Marcel Boulenger fornisce una piccola enciclopedia a uso degli aspiranti snob. Per entrare in tema: cosa significa la parola snob? Prima ipotesi: sine nobilitate, espressione latina che indicava gli alunni dell’università di Oxford estranei alla aristocrazia. Sui registri era abbreviata in «s.nob». In questo caso, lo snob è l’uomo di umili origini che pretende di rivaleggiare con la nobiltà, sperando tutto sommato di esserne accolto. Seconda ipotesi: lo snob è uno spaccone, come attestato in islandese (snopr) e in antico sassone (snab). Lo snob si vanta di qualità che non possiede. Terza ipotesi: villano rifatto. Snob sono i cittadini affascinati dallo stile della aristocrazia. Il calcio d’inizio dello snobismo si può fissare alla fine del XVIII secolo e coincide con l’ascesa della borghesia.
Boulenger riassume così: lo snob è il borghese che vorrebbe tanto assumere la sprezzatura degli uomini di mondo. Senza riuscirci. Per provarci asseconda il «buon gusto» della aristocrazia e disprezza il «cattivo gusto» della classe sociale alla quale appartiene con vergogna: la borghesia, appunto. Boulenger (1873-1932) fu medaglia di bronzo nel fioretto ai Giochi olimpici di Parigi, non a caso scrisse una bellissima Apologie du duel (1919). Vecchia conoscenza di Gabriele d’Annunzio, lo ritrasse magnificamente a Fiume (Chez d’Annunzio, Odoya, 2018). Giornalista e romanziere, Boulenger sapeva che, in un saggio di costume, la ferocia si nasconde quasi sempre nel dettaglio. È il dettaglio incongruente a far cadere la maschera degli impostori. Nell’Elogio dello snob, pamphlet uscito per Hachette nel 1926, pubblicato ora in Italia per merito del curatore Alex Pietrogiacomi, lo scrittore pizzica con la grazia dello schermidore. In Francia, lo snob si atteggia a lord inglese, trova tutto «spassoso» e «adorabile» e «delizioso». Marcel Proust è stato il maestro insuperabile nel descrivere lo snob e a trasformare il fenomeno sociale in categoria dello spirito. Boulenger aggiunge una osservazione importante: lo snobismo è una religione fondata sulla fede nella appartenenza a un gruppo di spiriti eletti. Non è chiaro però quali siano i meriti in base ai quale si guadagna la tessera del club. Di sicuro il culto si celebra nella vita mondana. Boulenger: «1° essere ricevuti nei salotti delle persone titolate o molto ricche; 2° riceverle a propria volta; 3° disprezzare chiunque non sia mai invitato nei suddetti salotti». La cortesia dello snob, scrive Boulenger, è solo apparente e si nutre di disprezzo per le classi sociali «subordinate».
Oggi forse è cambiato tutto. Lo snobismo è di massa. Pensate al mondo della cultura. Lo snob ha una opinione su tutto e non perde occasione di esprimerla. È magistrale nel pronunciare colossali banalità, fingendo di esporre il petto al plotone d’esecuzione. Si sente moralmente superiore, non si capisce per quale motivo. Lo snob si sente a suo agio col politicamente corretto. Trova adorabile il nuovo romanzo di (inserire nome a caso di un ospite reclamizzato da Fabio Fazio). Il nuovo film di (inserire nome come sopra) è spassoso. Il nuovo disco di (inserire nome come sopra)? Delizioso.
Lo snobismo coincide con la mediocrazia: il romanzo che vorrebbe essere letterario ma è solo adorabile; l’opera che vorrebbe essere d’arte e invece è spassosa per un paio di minuti; il film d’autore che si rivela delizioso. Lo snobismo imprime il sigillo della nobiltà artistica alla merce di largo consumo, però spacciata per «esclusiva» al fine di venderla meglio. Chi vuole essere una pecora al pascolo dei centri commerciali? Nessuno. Abbiamo tutti gusti «speciali» e «unici». Gli altri «non capiscono». Insomma, lo snob è indispensabile al mercato, che infatti lo premia in continuazione, specie se finge di essere contro il mercato stesso. È utile anche agli individualisti, agli spiriti ironici e a chi rifiuta i luoghi comuni. Se una cosa piace allo snob, meglio girare alla larga. Quando è moda, è moda, e non c’è niente di male. Ma l’arte è quasi sempre un’altra cosa.
Come se ne esce? Rivendicando la gerarchia. Andrea Camilleri non è George Simenon. Francesco Guccini non è Bob Dylan. Alessandro Baricco non è Francis Scott Fitzgerald. La scala gerarchica va ben argomentata per non commettere lo stesso errore degli snob: parlare per partito preso di cose che non conoscono.