il Giornale, 8 dicembre 2019
L’elettore medio dei conservatori britannici
«Giù a Londra si sono dimenticati del Nord, noi siamo il Nord dell’Inghilterra. Siamo a sole 39 miglia dal confine e a volta ci sembra di essere in Scozia. Ma noi non siamo in Scozia». La voce pacata, la cantilena affabile di Margie, che si ferma gentile in una via del centro, raccontano la storia di una comunità orgogliosa, lontana dai centri di potere, abbandonata dalla classe dirigente. Che stavolta però sta per avere la sua rivincita. Quelle che, indulgendo al gusto dell’iperbole, sono le elezioni più importanti dalla seconda guerra mondiale e che plasmeranno il futuro del Regno Unito per decenni saranno decise lontano da Londra, nelle terre al Nord al confine con la Scozia. Una regione costellata di città dal glorioso passato industriale ma da un presente incerto, sferzato dai venti della concorrenza asiatica e da scelte economiche che hanno privilegiato più i servizi specialmente finanziari che non l’industria.
Margie vive a Workington, piccolo centro di poco più di 30mila abitanti affacciato sul mare d’Irlanda, in un paesaggio punteggiato di giganti pale eoliche. La cittadina sorge dove 2.000 anni fa c’era un forte romano, parte integrante del vallo di Adriano, e del suo passato industriale mantiene ben poco, solo alcune fabbriche poco prima dell’abitato. Da qualche settimana Workington è al centro dell’atlante politico inglese, da quando il centro studi Onward ha definito l’archetipo elettorale che i conservatori devono convincere per poter ottenere una maggioranza assoluta alle elezioni. L’ha chiamato Workington man.
Maschio, proprietario della casa in cui vive, ha votato Leave al referendum del 2016 e pensa che il mondo si stia velocemente allontanando dai suoi valori di riferimento. Attribuisce più importanza a un’educazione tecnica che non universitaria e considera prioritaria la sicurezza sociale, prima di quella economica. Ama il rugby. «Geograficamente risiede maggiormente al Nord e in aree dal passato industriale – racconta Guy Miscampbell, analista politico di Onward e padre ideologico del Workington man – In queste elezioni sta pensando di votare diversamente da quella che, storicamente, è stata la sua immutabile preferenza labourista».
Workington è una roccaforte della sinistra inglese. I parlamentari eletti sono sempre stati laburisti tranne una sola volta, all’elezione suppletiva del 1976 quando vinsero i conservatori. «Le persone qui hanno sempre votato Labour – racconta Margie -, perché così hanno fatto i padri e i nonni prima di loro. Ma penso che stavolta un governo laburista, specialmente con quelle due persone alla guida, non sia molto popolare». Quei due sono Corbyn e McDonnell, il secondo è il candidato alla guida del ministero dell’Economia e ideatore del programma di governo più socialista della storia moderna del Paese. Nazionalizzazioni delle ferrovie, di parte di British Telecom, della rete elettrica, delle poste, delle aziende che gestiscono l’acqua. Un piano per obbligare le aziende oltre i 250 dipendenti a trasferire ai lavoratori fino al 10% delle azioni della società, un manifesto elettorale che aumenta la spesa di oltre 80 miliardi di sterline l’anno.
Una grande arma di distrazione di massa pensata per oscurare il mantra conservatore del Get Brexit done, quel realizzare la Brexit che Johnson ripete indefessamente a ogni intervista. I tories hanno puntato tutto su questo unico grande messaggio, tutte le altre misure annunciate in queste settimane elettorali sono un corollario, risposte quasi obbligate ai diversivi laburisti per non dover ricordare al Paese la loro confusa e pilatesca proposta: un nuovo accordo con Bruxelles e un successivo referendum con l’opzione Remain sulla carta, su cui il Labour lascerà libertà di coscienza senza prendere posizione. Un silenzio assordante sulla più importante questione politica del Regno Unito. Che il Workington man sembra non gradire.
Dopo oltre tre anni dal referendum sulla Brexit del giugno 2016 qui i sentimenti antieuropei sono ancora forti. Si registrano due ordini di fattori interrelati, prosegue Miscampbell, da un lato la mancanza di opportunità economiche e il disagio sociale in Cumbria (la contea in cui si trova Workington) e nelle zone del Nord Est dell’Inghilterra. Dall’altro il timore della perdita della propria identità a vantaggio di un indefinito ed estraneo sentimento europeo. Il malessere che la classe politica inglese ed europea non è riuscita a scorgere prima del referendum è ancora lì, senza lenitivo, e un Paese ancora spaccato a metà toglie ossigeno all’argomento del «non erano informati bene» brandito dai fautori di un secondo referendum. Centinaia di articoli e di analisi a favore della razionalità economica del rimanere nell’Unione europea non sono riusciti a vincere i cuori delle persone. Le catastrofiche profezie di disastro economico che, all’indomani della vittoria del Leave, non si è verificato hanno minato la credibilità delle periodiche analisi della maggior parte degli economisti contro il divorzio da Bruxelles. A forza di gridare al lupo, chi se ne preoccupa più se questo non si fa mai vedere?
Oltre il 58% delle persone qui votò Leave. Tra loro anche Margie¸ ma «non è stato assolutamente un voto contro gli europei. È stata una protesta contro le élite di Bruxelles che sono selezionate, non elette». Molte delle persone che hanno parlato con Il Giornale condividono lo stesso disagio. Un patrimonio politico immenso è stato sperperato dopo il 1975, quando il Regno Unito votò a favore dell’ingresso nella Comunità economica europea. Nell’area di Workington i sì vinsero con oltre il 70% dei voti. Da allora le difficoltà economiche e sociali e la mancanza di opportunità, specialmente per i giovani, hanno soffiato sulla fiammella dell’identità.
Il Paese, nelle parole di Miscampbell, ha esteso di molto le libertà individuali ma si è dimenticato delle politiche per la difesa delle comunità locali. E i timori sulla chiusura dell’ufficio postale e del pub sotto casa si rivestono oggi di significati identitari. «Non penso che uno stato federale europeo sia una buona idea – racconta Margie – noi vogliamo decidere per noi stessi. A noi piace la nostra indipendenza, vogliamo decidere cosa fare. Spero che gli europei non pensino che sia un voto contro le persone, perché non è così». Parla, con voce calma, di sovranità e di responsabilizzazione democratica, di immigrazione controllata e sostenibile per il sistema sociale del Regno Unito.
Il Workington man si inserisce in una tradizione inglese di archetipi elettorali che hanno costellato il dibattito politico degli ultimi decenni. La sorella maggiore è la donna di Worcester, al centro delle strategie elettorali di David Cameron nel 2010. Preceduta a sua volta dal Mondeo man, l’uomo comune puntato da Tony Blair nel 1997, che possedeva una casa di proprietà e un’auto per la famiglia. E prima di lui Margareth Thatcher parlò con successo all’Essex man, che negli anni ’80 votava labour ma che decise di dare fiducia al messaggio conservatore. Stereotipi differenti, semplificazioni politiche e sociali che tuttavia hanno segnato le fortune e il declino di molti leader inglesi.
Alle elezioni di giovedì prossimo, vincere Workington e altri seggi storicamente laburisti investendo tutto sulla Brexit dovrebbe compensare, nella strategia di Johnson, le perdite che i conservatori registreranno nelle zone a preferenza Remain, specialmente la Scozia e il Sud del Paese. Secondo i sondaggisti il Get Brexit done sembra far presa sul Workington man. Lo pensano anche i laburisti che stanno cercando in questi ultimi giorni di campagna elettorale di recuperare il terreno perduto nelle loro roccaforti del Nord. Non a caso sia Corbyn sia McDonnell si sono recati a Birmingham negli scorsi giorni per lanciare un nuovo manifesto contro la disuguaglianza e favorire le aree del Paese rimaste indietro. Più soldi, più spesa sociale, più servizi per convincere Margie, Rayn, Ian, la madre che non ha voluto rivelare il suo nome, Isaac, David e molti altri ancora a non allontanarsi dai genitori, dai nonni, dal Labour.